L’inizio di un nuovo anno è un momento particolarmente favorevole per fare il punto della situazione e ragionare su cosa stia succedendo di rilevante nel mondo del marketing e della comunicazione. Soprattutto quando si ha il privilegio di farlo dall’osservatorio di Superbrands, la più importante iniziativa di aggregazione delle eccellenze di brand, e potendo quindi sfruttare la sua visione globale e l’infinito numero di ricerche, analisi e interpretazioni dedicate a comprendere meglio le dinamiche in atto per rendere la marca “super”.
Non c’è dubbio che il tema vitale oggi sia quello della digital transformation con il suo impatto su tutti i processi che riguardano la relazione tra la marca e i suoi pubblici: non esiste più uno spazio che non sia digitale ed è ormai ridicolo pensare di avere una strategia digitale che non coincida con la strategia di crescita del proprio brand. Ma dobbiamo anche ricordarci che il digitale presenta ancora parecchi lati oscuri come il cyber crime e la necessità di una “regolamentazione” della privacy che difenda la rete dagli abusi capaci di minare pesantemente quell’aura di democraticità pervasiva che ne ha fatto la più grande rivoluzione delle nostre vite (è un dono di Dio, come ci ha ricordato Papa Francesco, e come tale dobbiamo goderlo nel modo migliore!).
L’ulteriore problema è che la Digital Transformation richiede una trasformazione culturale dell’intera organizzazione aziendale, una delle cose più difficili da realizzare soprattutto con la velocità che sarebbe necessaria. E’ costosa, faticosa e non ripaga subito. Inoltre, esiste un evidente pericolo di disconnessione tra la rilevanza delle attività digitali perseguite e il proprio posizionamento di brand: molte volte c’è una rincorsa di likes and share al di là della reale coerenza strategica con le solide basi del proprio DNA. Essere “virali” può non essere necessariamente un beneficio se non si è definito con cura cosa la marca voglia continuare a rappresentare nelle menti delle persone. E aggiungiamoci pure che il digitale da solo non è la panacea in grado di risolvere tutti i problemi della marca.
La parola che va per la maggiore è agility: si cerca una maggior flessibilità e una velocità di reazione e adattamento per far fronte alla liquidità con cui mercati, clienti e consumatori si muovono. Una competenza certamente più appannaggio delle digital companies (cioè di chi è nato da poco ed è già digital) piuttosto che delle grandi corporation storiche che gestiscono la stragrande maggioranza dei grandi brand con cui trascorriamo le nostre vite. Non è quindi un caso se in tutte le classifiche sul valore o l’amore di brand emergano i nomi di Amazon (vincitore anche del Superbrands POP Award 2016), Google, YouTube, Facebook come nuovi champions di riferimento: dominano le nostre esistenze, sono sostanzialmente irrinunciabili e risolvono richieste e desideri meglio di qualunque genio della lampada.
Tornando ai temi che possono aiutare una marca a trasformarsi in Superbrands, vediamo quali sono le keywords che possono rappresentare gli elementi su cui centrare le scelte strategiche e i percorsi di crescita nel 2017. Ecco i punti individuati da Superbrands:
1. RELEVANCY Diciamoci la verità: siamo stufi di contenuti che ci sommergono da ogni dove. C’è troppo di tutto (troppa scelta) e abbiamo abbondantemente raggiunto uno stato di saturazione e irritazione. Blocchiamo gli annunci, evitiamo i click, rifiutiamo di reagire ai sempre più numerosi touchpoints studiati per accerchiarci e convincerci a scegliere, comprare, consumare. L’unico modo che i brand hanno a disposizione per riuscire a penetrare questo vero e proprio firewall è risultare rilevanti per le persone. Rilevanti con le soluzioni offerte (evitando quindi inutili proliferazioni, semplificando la vita), ma anche con le storie che raccontano e i momenti che scelgono per raccontarle. Perché, alla fine le storie piacciono quando toccano le emozioni più profonde (e non sarà un caso che sugli archetipi siano sempre più spesso costruite), ma devono essere raccontate nel momento giusto, quello che decidono i consum-autori. E per riuscire a farlo occorre avere sempre ben chiaro cosa si è e cosa si rappresenta, mantenendo una forte coerenza nel tempo senza farsi deviare da mode temporanee e credenze ancora tutte da dimostrare (come alcune performance del digitale, dove tutto è certamente più misurabile, ma che deve ancora dimostrare di riuscire a produrre risultati efficaci sulla reputation nel lungo periodo).
2. AUTENTICITY Non c’è scampo: per essere “super” occorre la fiducia della gente, il driver essenziale del valore di brand secondo le nostre ricerche (pesa quasi il 40% dei 5 S-Factors alla base del modello Superbrands). E per guadagnarsi questa fiducia, occorre essere veri, autentici. Onesti e trasparenti. Nell’epoca della “post verità”, il brand può restare un faro di orientamento nelle scelte solo se è capace di rinunciare ai sensazionalismi e alle esagerazioni per costruire la propria comunicazione sul rispetto per i propri stakeholders (dipendenti, clienti, consumatori). Rispetto che significa soprattutto ascolto e dialogo piuttosto che invasività e persuasione. Rispetto basato su una condotta dove la furbizia commerciale è bandita a favore di una relazione paritetica e sincera coi propri clienti e consumatori.
3. INTIMACY Siamo stati abituati a generare contenuti e campagne pensate per masse di persone. Oggi dobbiamo guardare ai singoli individui, rispettandone l’identità e costruendo soluzioni sempre più adattevoli e personalizzate. Dai Big Data è tempo di passare agli Small Data (come ci suggerisce Martin Lindstrom nel sul interessante volume) o meglio ancora agli Smart Data (ciò che è davvero utile e discriminante) inseguendo micro-segmentazioni rilevanti capaci di farci capire meglio i nuovi gusti e desideri della gente. Per soddisfarli al meglio grazie alla necessaria intimità che permetterà al brand di essere “compagno” di viaggio nelle loro esistenze. Offrendo soluzioni di semplificazione reale, pertinenti e desiderabili, che possano migliorare davvero la qualità della vita delle persone.
4. RESPONSIBILITY Il mondo può essere un posto migliore solo se i brand diventano protagonisti del processo di attenzione crescente agli aspetti ambientali e sociali. Non si tratta solo di CSR e di sporadiche iniziative di filantropia. Occorre porre la sostenibilità al centro dei propri modelli di business e trasformare le cose che si fanno in un’ottica di maggior sostenibilità. Credendoci e comunicando di più. Basta nascondere le cose belle che si fanno lasciando parlare solo i prodotti e la comunicazione commerciale: è sempre più necessario arricchire lo storytelling della marca di contenuti più “alti”, certamente più difficili da veicolare, ma indispensabili per portare il brand ad esprimere un purpose che genera rilevanza significativa per la vita delle persone. E che trasforma le marche in Superbrands.
La piramide di riferimento per essere “super” resta fondata sui classici gradini da scalare per riuscire a raccogliere attenzione, distinguersi dalla concorrenza, risultare accessibili e soprattutto creare una connessione emotiva forte con gli individui.
Perché è proprio questa dimensione emotiva che fa la differenza e guida concretamente l’apprezzamento per i brand. Superbrands è alla ricerca delle eccellenze di marca 2017, quei brand che, sulla base degli elementi indicati e delle “nominations” emerse dal Superbrands Council, saranno aggregati in un “movimento” che condivide principi e valori e qualificati dal “golden seal” Superbrands, il simbolo distintivo del loro impegno ad essere “super”.