“Alessandro Borghese 4 ristoranti”, “Alessandro Borghese Kitchen Sound” e “Cuochi d’Italia” sono i format che lei ha portato alla ribalta: cosa li ha resi dei programmi così amati e quali altri progetti vorrebbe realizzare in futuro sul piccolo schermo?
La mia carriera di chef è iniziata con una lunga gavetta più di venti anni fa. La televisione e la popolarità sono arrivati nel 2004 e da più di dieci anni sono in onda con i miei programmi di cucina. Ora sono in onda su Sky con la quarta stagione di “Alessandro Borghese Kitchen Sound”: un progetto crossmediale unico nel suo genere. Abbiamo voluto coniugare editori multipiattaforma: in onda tutti i giorni all’ora di pranzo su Sky Uno e on line sul catalogo On Demand, Web e Radio. Ogni creazione culinaria è accompagnata da tantissimi consigli e diversi modi con cui lavorare la materia prima. Musica e cucina sono due espressioni del mio carattere, del mio modo di essere e ho voluto metterle insieme, ogni ricetta è arricchita da un tocco speciale: un brano musicale che ripropone in chiave rock, soul, funk, blues o rap il piatto del giorno. Il potere evocativo della musica, come per il cibo, dona sensazioni particolari dettate dalla sola e semplice percezione personale. Basta poco. Ci vogliono istinto e creatività. Non c’è battito senza ritmo.
Su TV8 sono in onda le puntate in chiaro della quarta stagione di “Alessandro Borghese 4 Ristoranti”, un viaggio attraverso il nostro bellissimo Paese scoprendo sapori, passioni, genuinità ed eccellenze territoriali che contraddistinguono l’arte gastronomica italiana; “Cuochi d’Italia” un programma che mi ha divertito e nel quale ho coinvolto due amici e colleghi che stimo molto: Gennaro Esposito e Cristiano Tomei. Sono loro che giudicano i migliori cuochi d’Italia. Sono molto contento di essere stato un anticipatore di questa nuova tendenza, avevo un’idea del successo della cucina in televisione, fin da quando era singolare diventare testimonial di un prodotto gastronomico. La cucina, e tutto ciò che ruota intorno ad essa, genera sviluppo e professioni nuove e originali, qualche anno fa non esistevano tutte queste considerazioni sul cibo e sui tanti volti che ne parlano. Quando ho iniziato a raccontare la cucina italiana attraverso le persone, non immaginavo di diventarne l’esempio. Guardare alcuni programmi e rivedere le caratteristiche dei miei primi format con l’evoluzione di oggi è un enorme successo. Sono in continua evoluzione e con il mio team lavoriamo su nuovi progetti. Sono anche arrivate alcune proposte per girare dei film, mia madre (Barbara Bouchet, ndr) era già attiva con un corso accelerato sulla recitazione, ma, lusingato, ho declinato l’invito. Scrivo. Anche su un magazine dedicato al viaggio. Riordino scene, musica, volti, sorrisi, attimi, poi mi metto davanti alla tastiera e butto giù tutto. Mi dispiace solo non essere ancora riuscito ad uscire dal quinto capitolo del mio romanzo erotico, fermo in una cartella sul desktop. Ma sono concentrato su altro in questo momento.
Per il suo ristorante milanese, “AB Il lusso della semplicità”, ha scelto un ossimoro: come è possibile conciliare due dimensioni apparentemente antitetiche?
Mantenere la semplicità in cucina vuol dire tante cose, potrebbe significare ridurre un piatto alla sua forma base o focalizzarsi su un ingrediente per sperimentarne l’essenza. Oppure creare un’atmosfera da Rock Band, dove le diverse parti della cucina si muovono come gli strumenti del concerto. In qualunque caso, “semplice” in una cucina raramente significa “facile”. Quando si entra in cucina c’è studio, progettualità, fantasia, soprattutto se lo stai facendo per qualcuno. Quando si matura professionalmente si procede per sottrazioni più che per addizione. Negli anni ho sperimentato le mode e alla fine ho compreso che i prodotti migliori sono quelli schietti e sinceri che ti andrebbe di mangiare tutta la settimana. Questa è oggi la mia cucina.
Il ristorante era nell’aria da tempo. Lo dovevo fare. Lo dovevo ai tantissimi sostenitori che mi chiedevano di farlo e agli ospiti che in questi anni hanno gustato i miei piatti durante i nostri ricevimenti privati e pubblici, dovevo aprire la mia cucina a tutti. L’occasione è arrivata quando abbiamo ampliato la sede milanese della mia azienda. Volevo essere trasparente, per questo abbiamo un’enorme cucina a vista sulla sala in un ambiente caldo e sensuale. Poi si entra nell’atmosfera vivace ma distesa del Salotto del Cocktail Bar, trasportati dalla musica del DJ Set e dalle novità del Barman. E poi ci sono gli uffici e la sala multifunzionale privata con cucina interna per i corsi di cucina e le riunioni aziendali e team building. Il menu cambia anche ogni settimana: sono gli ingredienti che mi ispirano, la materia prima di stagione. Cinque antipasti, cinque primi piatti, cinque secondi piatti e cinque dolci, la cucina del ristorante è collegata anche al Cocktail Bar con sfiziosità calde e croccanti da accompagnare agli ottimi cocktail.
Quali sono i 4 ingredienti che proprio non possono mancare nella cucina di Alessandro Borghese?
Prediligo la stagionalità e la freschezza degli ingredienti. Ogni volta lo scenario cambia di mese in mese. Sicuramente non mancano mai: acciughe, parmigiano, aglio, cipolla, sale, pepe e olio Extra Vergine d’Oliva.
E se dovesse descrivere la sua personalità attraverso un piatto, cosa ci proporrebbe?
Sono un imprenditore che vuole esporsi ai rischi che ogni lavoro comporta. La mia società è nata dopo l’incontro con mia moglie. All’epoca Wilma (Oliverio, ndr) lavorava per una multinazionale, insieme abbiamo deciso di dare progettualità alle mie idee. Mio padre sosteneva che bisogna focalizzare l’obiettivo da raggiungere e migliorare continuamente, studiando e impegnandosi a fondo. Mi rivedo sempre nella prossima ricetta che andrò a creare. Sembra uno slogan, ma non lo è.
Quando ha scelto di dedicarsi alla cucina ha trovato sul suo cammino qualcuno che l’ha ispirata in maniera significativa? Cosa consiglierebbe a un giovane che vuole intraprendere oggi questa avventura?
Una passione nata a cinque anni: ogni domenica mattina mi svegliavo col profumo del ragù dentro casa. Mi alzavo molto presto e andavo in cucina per osservare le mani di mio padre muoversi in assoluta sicurezza tra fornelli, piatti e coltelli. Il suo sorriso concesso nel descrivermi una ricetta, i suoi consigli come un regalo speciale hanno sviluppato gradualmente la scelta di far diventare una passione una professione. Sono nato a San Francisco e sono cresciuto tra Roma e la California, viaggiare è stato fondamentale per la mia crescita umana e professionale. Quando mi sono imbarcato sulle navi da crociera dopo il diploma, i miei genitori non erano molto d’accordo, ma ho seguito il mio amore per la cucina, il desiderio di continuare a conoscere le materie prime, la curiosità nel vedere realizzato il piatto che avevi pensato, da uno schizzo fatto con i pastelli su un foglio a scuola, fino a riconoscere le forme, i colori, e finalmente il gusto che avevi immaginato. Mio padre era produttore cinematografico e mia madre è un’attrice. E io volevo diventare cuoco. Essere figlio di persone note aumenta la curiosità sulle tue scelte lavorative, rispetto ad altri sei molto più esposto a un morboso e bizzarro interesse nel voler conoscere quello che fai, ma se ti manca il talento e la responsabilità verso il lavoro, non progredisci. Non basta misurarsi con se stessi, serve faticare e sgobbare per conquistare un risultato vincente e ottenere la credibilità necessaria per chi investe con fiducia su di te. Picasso ha detto: “Per mio tormento e forse per mia gioia, io dispongo le cose secondo le mie passioni…”.
L’ispirazione arriva anche uscendo dalla propria cucina e andando per strada, nei mercati, in giro. Sono gli ingredienti che ti parlano, ti provocano, ti comunicano la loro essenza, ti stimolano attraverso i colori, forme, sapore: il rombo vuole essere scottato, la gallinella vuole essere fatta in umido, il gambero di Mazzara appena pescato chiede solo un filo di extra vergine per essere gustato crudo. Chi fa il mio mestiere ha una grande responsabilità in Italia e all’estero. Con il gruppo “Obicà Mozzarella Bar”, con cui collaboro, abbiamo portato la mia cucina Oltreoceano, da Roma passando per New York fino a Los Angeles, comunicando la filosofia del #FoodToShare. La passione, la dedizione, l’empatia e l’intuito fondano le basi di un qualsiasi lavoro commerciale, dove saper comprendere al volo i propri interlocutori e le situazioni è fondamentale. Studiare e approfondire: per preparare una cacio e pepe ci vuole testa ed esercizio, devi conoscere i formaggi, la loro stagionatura, sapere che un formaggio si lega meglio con un altro e trovare il giusto abbinamento con l’amido della pasta per avere un ottimo risultato. Sperimentare e rispettare gli ingredienti: la materia prima ha un ruolo centrale, devi conoscerla ed essere bravo nel valutare le sue possibili trasformazioni senza stravolgere la sua natura. Quando si entra in cucina c’è studio, progettualità, fantasia, ci vuole concentrazione, intuizione, il gioco di squadra è fondamentale per lavorare verso l’obiettivo comune di suscitare un’emozione per chi assapora i piatti. Cucinare vuol dire passione e responsabilità: un atto d’amore ricco di desiderio, impegno, professionalità che ho fortemente voluto far diventare il mio lavoro.
Elisabetta Pasca