Pubblicitario, scrittore, artista: molte sono le sfaccettature attraverso le quali Lorenzo Marini ha messo a terra il suo universo interiore, esprimendo in maniera sempre originale la sua essenza di creativo. Dalla pubblicità all’arte, il percorso di Marini costituisce un cammino esemplare, in grado di rivelare quanto la sensibilità personale sia in grado di aprire nuovi orizzonti e allargare le prospettive tanto nella comunicazione quanto nella produzione artistica. In questa intervista a cuore aperto, abbiamo cercato di navigare nella mente e nell’esperienza di una delle principali personalità creative italiane, per approfondirne l’evoluzione, anche in relazione all’apporto e alla preponderanza del digitale in campo espressivo.
L’espressione creativa è l’espressione di un’idea: una finestra sulla mente poliedrica di Lorenzo Marini
Come descriverebbe la parabola personale, professionale e artistica di Lorenzo Marini?
Nonostante le apparenze, le tre parabole sono una. Inevitabilmente il personale, professionale e artistico si intrecciano. La mia è una storia semplice: da bambino sognavo di fare esattamente quello che sto facendo adesso, il creativo. Il mondo della creatività sta al mondo della fantasia come la pubblicità sta all’arte. La prima è uno slalom gigante pieno di limiti, mentre il secondo è una discesa libera, senza freni. Molte delle cose che faccio ora come artista hanno le origini nel mondo della comunicazione e della grafica. Sto semplicemente raccogliendo i frutti di un lavoro le cui radici hanno molti anni.
Qual è la sua definizione personale di espressione creativa?
Tutto quello che ci circonda è espressione creativa. Difatti uno dei nomi che diamo al Dio è quello di Creatore Universale. Ogni fiocco di neve è espressione di individualità. Ogni sguardo umano è espressione di un sentimento. Ogni oggetto è espressione di un’idea. Nell’arte contemporanea non si vende più l’esecuzione, ma il concetto. L’espressione creativa è proprio l’espressione di un’idea. E le idee arrivano sempre prima degli oggetti.
In che modo è cambiata la comunicazione dei brand negli ultimi anni e come è possibile fare la differenza sul mercato attraverso il racconto del marchio?
Durante il boom economico degli anni 60 l’euforia dei mercati stimolava l’acquisto del prodotto. E in quel tempo si usava la “réclame”. Negli anni 70 il contrasto ideologico guardava con diffidenza la comunicazione che assumeva le nuove vesti di “pubblicità”. L’edonismo degli anni 80 ci ha portati ad un livello globale e abbiamo inventato “l’advertising”. Dal 2000 il concetto olistico dei media ha trasformato l’advertising in “comunicazione integrata”. Oggi viviamo in una babele linguistica dove tutti pensano di avere ragione, ma nessuno ha più orecchie per ascoltare. La differenza la fa la ripetizione.
Può raccontarci in cosa consiste il DNA Approach e come è possibile individuare con efficacia il DNA di una marca?
La teoria che le marche siano come delle persone è vera, corretta e funziona. Scegliamo una marca come scegliamo un amico, non per la somma algebrica di pregi e difetti, ma semplicemente perché parla il nostro linguaggio. In questo arcipelago di territori mentali scegliamo l’isola che più ci piace. Scegliamo chi parla come noi, chi la pensa come noi.
Il digitale ha modificato in maniera sostanziale le nostre vite: creatività e arte non ne sono rimaste immuni. Quale apporto stanno conferendo le nuove tecnologie all’espressione artistica e alla comunicazione in generale?
Il fattore che ha modificato maggiormente la comunicazione dopo l’avvento del digitale è stata la sincerità. Le marche sono state costrette a dire la verità. E questo è un fatto molto positivo. Ovvio che dal giardino della verità crescono sempre le erbacce delle fake news. L’arte classicamente intesa, ci riporta al concetto romantico dell’artista 900esco. Staccato dal mondo, consapevole solo di sé stesso. L’artista contemporaneo non può non dialogare con il mondo che gli sta attorno sia in termini concettuali che in termini formali. Come nella nostra vita passiamo tranquillamente dall’analogico al digitale, anche gli artisti di oggi dovrebbero trasformare i media mix in un valore, in un vantaggio, in una narrazione più completa.
Attualmente è online la sua mostra virtuale NFType: quale è stato il suo approccio al Metaverso e come ha sviluppato il progetto che trasmuta la Type Art in NFT?
La mostra NFType mi ha sorpreso per l’incredibile successo avuto nelle prime due settimane. Il sito è andato in crash, perché non ci aspettavamo quasi 40.000 visitatori in così poco tempo. Dal punto di vista creativo il lavoro è stato molto semplice. Trasformare le due dimensioni di base per altezza aggiungendo la terza dimensione che è la profondità, cioè il tempo. In pratica le mie opere sono diventate sculture in movimento. L’animazione in alcuni casi è stata accompagnata dalla musica e per me questa è stata la parte più difficile.
Il suo percorso può essere definito poliedrico e sfaccettato, nonché costellato di numerosi premi e riconoscimenti. Quando si macinano esperienza e successi come si mantiene la spinta costante a creare qualcosa di nuovo e ad affrontare nuove sfide?
Si possono vivere più vite all’interno di una vita singola. Napoleone Bonaparte diceva: posso perdere una battaglia, posso perdere una guerra ma non perderò mai nemmeno un minuto. 30 anni fa disegnavo fumetti, 20 anni fa scrivevo libri, 10 anni fa ho iniziato a dipingere. Il mese scorso è arrivato un premio. E abbiamo festeggiato perché era il numero 500 da quando lavoro in advertising. Ma in genere non festeggio mai. Albert Einstein teneva tuti i diplomi e lauree ad honorem in un angolo del suo studio che chiamava “l’angolo della vanità”. I successi non servono a niente se li ottieni per il tuo ego. Ma servono tantissimo se li usi come sfida. Non è forse la vita la più grande sfida che abbiamo prima della morte?
Elisabetta Pasca