Che la reputazione sia il primo asset intangibile per qualunque organizzazione: azienda, ONG, istituzione pubblica, come per qualunque personaggio: politico, artista, sportivo, influencer è ormai fuori discussione ed è confermato da una solidissima letteratura scientifica nonché da migliaia di case-study pratici. E non parliamo banalmente dell’immagine, concetto “effimero” legato al mondo della pubblicità e del marketing, bensì della reputazione vera e propria, costruita nel medio e lungo periodo, centrata sulla propria identità e su ciò che si fa concretamente, non su ciò che troppo spesso agiograficamente si racconta agli altri di sé stessi.
Le crisi reputazionali sono ormai all’ordine del giorno: possono colpire un’azienda, un professionista, un personaggio pubblico o un politico, a prescindere dalla dimensione del business e dalla sua esposizione sui mass-media. Anzi, spesso le realtà pressoché sconosciute al grande pubblico diventano tristemente conosciute proprio a causa di una crisi di reputazione indotta da criticità generate da fattori esterni o interni alla propria attività principale.
Questo è il contenuto di Crash Reputation, l’ultimo lavoro di Luca Poma, professore di scienze della comunicazione e reputation management all’Università LUMSA di Roma e all’Università della Repubblica di San Marino, nonché tra i più apprezzati esperti in gestione della reputazione nel nostro Paese. Dalla gestione della comunicazione online del caso dei due Marò arrestati in India nel 2012 per conto del Ministero degli Esteri, all’impegno nell’eccezionale team di manager Ferrero coordinato dall’Ambasciatore Fulci per la gestione della crisi digitale relativa all’olio di palma nella Nutella, fino a casi più pop come la tutela della reputazione di Cristina Seymandi, abbandonata prima del matrimonio dal banchiere Massimo Segre, che suscitò l’attenzione di centinaia di giornali e TV in più di 50 nazioni del mondo, Poma nel tempo è stato ingaggiato istituzioni pubbliche, banche e team di avvocati di primo piano, ed è sua la firma su alcune tra le più note gestioni di crisi reputazionali nel nostro Paese e non solo.
Libri, arriva il volume “Crash Reputation”: 50 storie di crisi aziendali analizzate da alcuni tra i più apprezzati esperti italiani di gestione della reputazione
Il volume, acquistabile in libreria e su Amazon (www.amazon.it/CRASH-REPUTATION), scritto in collaborazione con Giorgia Grandoni e Alessio Garzina, illustra 50 (+ 1, scritta dall’AI) storie di crisi reputazionali realmente accadute, che variano dal pubblico al privato, dalla moda al mondo informatico, dall’azienda meccanica agli influencer digitali, dal professionista al politico, e riporta in modo circostanziato nomi e retroscena.
“Non parlo mai dei casi che seguo: molte agenzie di comunicazione che si dicono esperte di questa delicata materia pubblicano l’elenco dei propri clienti sul sito web per farsi pubblicità, al contrario ritengo che la discrezione debba essere alla base del nostro lavoro”, dichiara il torinese Poma. “Tuttavia la verità è che quando si parla di reputazione poche cose affascinano il pubblico come tutto ciò che riguarda gli aspetti meno raccontati della gestione delle crisi: scandali, incidenti, emergenze, competizioni sleali tra concorrenti, tutti ingredienti irresistibili per il pubblico. D’altra parte sono gli stessi argomenti che fanno vendere i giornali, anche grazie alla naturale curiosità che suscitano nell’essere umano: in poche parole, noi tutti vogliamo sapere cosa succede dietro le quinte quando le cose si mettono male, e questo – precisa Poma – è esattamente ciò di cui si parla nel libro, con un’analisi dettagliata di molti casi saliti all’onore delle cronache”.
“Lo scopo di questo volume – ha dichiarato la co-autrice dottoressa Giorgia Grandoni, ricercatrice presso il centro studi della start-up innovativa Reputation Management, specializzata in servizi ad alto valore aggiunto nel settore della costruzione della reputazione e della gestione delle crisi reputazionali – è quello di fornire una panoramica variegata seppur sintetica, rispetto all’enorme quantità di casi di crisi reputazionali che ormai popolano le cronache ogni settimana, al fine di far comprendere anche ai non esperti i principali errori e le buone prassi relative alla gestione della crisi. Abbiamo deciso di illustrare i casi in modo trasparente, citando nomi, cognomi e brand, sia riguardo le crisi ben gestite che quelle mal gestite, perché siamo convinti che genuinità e autenticità siano valori fondamentali nel processo di costruzione della reputazione, anche se purtroppo questi due principi vengono troppo spesso solo ‘recitati a memoria’ dalle aziende, le quali invece, in caso di problemi – aggiunge Grandoni – preferiscono a volte mettere la testa sotto la sabbia”.
Poma aggiunge: “Con l’avvento delle tecnologie 2.0 e l’affermarsi dell’impatto globale di Internet vale una regola: il solvente universale di una crisi reputazionale è innanzitutto la capacità di saper chiedere scusa, un’azione catartica e un gesto straordinario. L’essere umano che sa farlo ha ‘la schiena dritta’, è in grado di guardare l’interlocutore negli occhi, capire il perché dei propri errori e impegnarsi a cambiare, affinché quanto è successo non accada mai più. Preferite una persona in grado di prendersi con fermezza le proprie responsabilità, oppure qualcuno che mente, cercando di nascondere la polvere sotto al tappeto? I meccanismi che regolano il funzionamento delle organizzazioni sociali complesse, come le aziende, non sono troppo differenti da quelli che regolano i rapporti interpersonali, eppure le aziende faticano ancora a capirlo e cercano troppo spesso delle scorciatoie del tutto inefficaci, con le quali finiscono poi per distruggere ancor più il valore costruito con fatica nel tempo”.
Il volume vanta una prefazione di Nicola Menardo, avvocato penalista dello Studio Grande Stevens di Torino, e un contributo sulla storia della reputazione di Alberto Pirni, professore di Filosofia morale alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
“Ciò che gli imprenditori e i manager saggi dovrebbero comprendere – sottolineano gli autori – è che, se è vero che la buona reputazione aumenta il valore per gli azionisti e orienta positivamente i comportamenti di acquisto dei cittadini, essa è uno dei beni da tutelare con maggiore attenzione, per cui è meglio agire in maniera prudente e in anticipo, dotandosi di tutti gli strumenti necessari, piuttosto che, per citare l’antico adagio popolare, dover ‘chiudere la stalla dopo che i buoi son scappati’. Sono pochissime, infatti, le aziende italiane che si sono sottoposte a un assessment per la previsione e mitigazione dei rischi reputazionali”, facendo intuire – concludono gli autori – quanto lunga sia la strada da fare nel nostro Paese riguardo queste tematiche di grandissima importanza e attualità.