La Brand extension sta prendendo sempre più piede. L’insieme delle strategie che consentono di differenziare l’offerta di prodotti, rinnovare l’identità del marchio ed accrescerne il valore, infatti, è un fenomeno in crescita sin dagli anni ’80, quando i brand manager divennero consapevoli che la marca non è solo etichetta, ma possiede anche un valore sociale, semiotico, immateriale e potenziale per l’impresa. Allargare il raggio d’azione del proprio marchio sembra essere dunque una strategia applicata da un numero sempre maggiore di aziende, le quali hanno dimostrato come le probabilità di successo di un nuovo prodotto mediante il quale si realizza l’estensione sono proporzionali al livello di consonanza tra le categorie produttive (la category fit). La brand extension si collega inoltre in maniera quasi indissolubile con la brand loyalty, ovvero la teoria secondo la quale sono più portati alla differenziazione brand che hanno uno zoccolo duro di consumatori fedeli che potrebbero quindi essere predisposti a seguire il marchio nella nuova avventura, favorendo così, in quest’ottica, le griffe più note.
All’estero alcuni tra i più celebri esempi di questo fenomeno sono infatti rappresentati dal marchio Apple-Macintosh il quale, oltre ad essere uno dei leader del mercato dei personal computer e dei notebook, si contraddistingue per il fatto di sviluppare internamente anche il software operativo, rendendolo così il principale concorrente di Microsoft in tale attività; oppure dalla Virgin, la quale, nata come etichetta discografica, ha in seguito differenziato il proprio business entrando prima nel mercato dei soft drinks (Virgin drinks) e poi addirittura nei trasporti aerei (Virgin Express). Il tutto è stato compiuto mantenendo ben visibile il logo, informando il proprio target e realizzando numerose interviste, disseminate su diversi magazine, del proprietario di Virgin, Sir Richard Branson, favorendo così un processo di fidelizzazione del cliente. Altra grande multinazionale è quella dell’editoriale National Geographic, che dopo aver creato cinque canali televisivi a tema, è diventata una etichetta discografica. Discorso a parte merita infine la Procter&Gamble, la quale produce dai saponi per lavatrice alle patatine, dalle lamette alle caramelle. In questo caso, in controtendenza rispetto agli esempi precedenti, il successo della P&G è basato, paradossalmente, sull’assoluta invisibilità del brand, ovvero solo pochissime delle persone che consumano uno dei marchi di patatine più diffuso al mondo (quelle con il tubo) sono a conoscenza del fatto che la stessa casa produce saponi.
In Italia esempi celebri sono rappresentati dalla Mogar Music, leader nella distribuzione di strumenti musicali, che è passata ai prodotti audio per aprire infine un ufficio comunicazione, dedicato soprattutto alle strategie di promozione on-line; e NeroGiardini, che dal calzaturiero è passata agli abiti incrementando così il fatturato del 20%.
Discorso particolare è infine quello dei brand automobilistici; i quali più degli altri si affidano alla brand loyalty, facendo quindi della loyalty dei propri utenti (non tutti consumatori, si pensi per esempio al marchio Ferrari) una leva attraverso la quale lanciarsi in differenziazioni di produzione a prima vista molto ardite, che consentono però di far entrare in gioco le componenti psicologiche dell’emulazione e del mito, componenti che rendono il brand ovattato in un ambiente quasi mistico per l’utente/fruitore/consumatore.
Laura De Santis