Manca poco al convegno “Brand Sustainability – Driver di valore per essere Super”, incontro che si terrà venerdì 15 aprile presso la sede della facoltà di Economia dell’Università Roma Tre. A promuovere l’appuntamento vi è Superbrands, la realtà internazionale volta a proporre e riconoscere le eccellenze nei brands, dando rilievo a quei nomi caratterizzati da una luce particolare che li fa brillare rispetto agli altri. Sul palco del convegno si succederanno importanti relatori che porteranno la propria testimonianza di esponenti di note realtà aziendali, capaci di aver attuato scelte strategiche ed organizzative che ne dimostrano l’impegno per la brand sustainability. Per parlare dell’incontro imminente abbiamo intervistato Sergio Tonfi, Editor e Promoter di Superbrands Italia, e il prof. Carlo Alberto Pratesi, titolare della cattedra di “Marketing, innovazione e sostenibilità” all’Università di Roma Tre, entrambi promotori dell’evento.
SERGIO TONFI
Quello in programma il 15 aprile presso l’Università di Roma Tre è il primo appuntamento del 2016 di Superbrands. Perché si è scelto il tema della sostenibilità?
Nel modello che Superbrands ha messo a punto per individuare i super brands abbiamo identificato tre parole chiave: innovazione, autenticità e responsabilità. Le ultime due sottendono ciò che chiamiamo responsabilità sociale d’impresa. Viene fuori dalle ricerche che la gente oggi vuole dai brand molto di più rispetto al passato, vuole che si assumano la responsabilità di prendersi degli incarichi da “supereroe”: si pretende che le marche migliorino la qualità della nostra vita e del mondo in cui viviamo su diversi fronti. Ecco perché abbiamo iniziato questo 2016 con il tema della sostenibilità, che crediamo essere una delle leve più importanti per il futuro della marca.
In che modo, secondo lei, un super brand può operare in maniera efficace tenendo conto di tutti gli aspetti da lei elencati, ossia innovazione, autenticità e responsabilità?
La responsabilità, o sostenibilità, è stata spesso vista come qualcosa che non ha un diretto rapporto con il marketing o con il business, quasi come se fosse di un altro livello. Oggi le ricerche dicono invece che c’è una maggior predisposizione da parte delle persone a scegliere quelle marche che fanno qualcosa di buono per noi o per il pianeta. Sono marche che hanno scelto il “purpose”, lo scopo, da cui poi deriva il motivo per cui una persona dovrebbe acquistare un determinato prodotto di una marca. Quindi non parliamo più di un’aggiunta, ma dello scopo essenziale del business di cui si occupa un’azienda. Il purpose è dunque legato proprio al brand, quindi al business. Abbiamo pensato che questo fosse il momento giusto per far riflettere sulla questione, portando così a modello risultati concreti riguardanti il tipo di responsabilità che le marche si stanno prendendo per il pianeta e per la società oggi, e ciò con la presenza di un loro determinato prodotto. Questa sarà anche un po’ una sfida all’interno del nostro dibattito, anche perché le aziende presenti vengono da diversi settori.
Qual è l’elemento che accomuna appunto questi ospiti e che li rende testimoni perfetti per un incontro sulla brand sustainability?
Innanzitutto c’è da dire che questi appuntamenti hanno un duplice scopo: il primo è promozionale da parte di Superbrands, che vuole creare occasioni di networking invitando sia i super brands che hanno già aderito alla nostra realtà, sia quelle marche che, comunque, sono lo stesso super brands. Ad esempio, per l’evento di Roma abbiamo tre aziende che hanno aderito al nostro programma, cioè ING, Avis e 3M, e tre che sono state nominate dal nostro council come potenzialmente super brands, ossia Barilla, Carlsberg e Unilever. In ogni caso, questi sei nomi di fatto si sono già schierati, hanno preso una posizione per portare sul mercato soluzioni concrete ai temi della responsabilità sociale e della sostenibilità. Quindi hanno concretamente agito e hanno capito che essere sostenibili oggi paga. Hanno riconosciuto in quello che stanno facendo un sentiero di crescita che poi ha davvero un ritorno economico. Una ricerca globale dice che il 73% degli intervistati è disposto a pagare di più per quei prodotti di aziende che si impegnano sulla sostenibilità. In Italia siamo ancora a una percentuale più bassa. C’è da dire che non tutti i brand sono attivi su questo fronte: alcuni non ci credono abbastanza, mentre altri sono piuttosto arretrati da questo punto di vista. Questi sei nomi presenti al convegno rappresentano i campioni, i giocatori principali che ci mostrano come fare e perché farlo. Vorremmo lanciare dunque una sfida alle altre aziende, un invito a riflettere e a far loro guardare questi campioni come esempi da seguire.
Per quanto riguarda Superbrands, quali sono le iniziative future in programma per il 2016?
Lunedì 11 aprile torna il Superbrands POP Award, ossia la ricerca della marca più amata dagli italiani. Per nominare i brand che hanno tutte le caratteristiche per essere super abbiamo il nostro council composto da esperti del settore (tra cui il prof. Pratesi), quindi addetti ai lavori. A noi ci interessa però sapere anche quali sono le marche che emozionano la gente, quei nomi che le persone scelgono di pancia, e per questo c’è il POP Award. Parte dunque la nuova edizione in collaborazione con Radio Italia: i suoi ascoltatori, tramite mini sito dedicato, potranno votare il marchio che apprezzano di più e che vincerà dunque questo premio, che noi gli consegneremo il 23 giugno in occasione della sera dei Superbrands Awards.
PROF. CARLO ALBERTO PRATESI
Perché, secondo lei, il tema della sostenibilità di marca è diventato oggi un argomento imprescindibile per l’operatività aziendale?
È diventato imprescindibile non tanto perché è importante essere sostenibili ma perché non è possibile essere insostenibili: un’azienda è insostenibile quando è vulnerabile rispetto alle infinite minacce che possono arrivare dall’ambiente o dalla società. Un’azienda che vuole sopravvivere nel lungo periodo deve dimostrare di avere le carte in regola per non essere oggetto di possibili crisi, che possono derivare, ad esempio, dal fatto di usare risorse scarse che possono diventare più disponibili in futuro, oppure da una gestione non attenta del diritto del lavoro con relative problematiche su quel versante, o dal fatto che si ha un impatto sull’ambiente eccessivo con il rischio di vedere la propria attività interrotta improvvisamente. Il messaggio che si vuole lanciare in un’occasione come quella del convegno del 15 aprile è che la sostenibilità non è un imperativo etico e morale, ma è un obiettivo di buon senso per tutte le aziende che hanno interesse di rimanere super. Se si è vulnerabili, e quindi insostenibili, non si è tenuto conto degli aspetti che in futuro possono diventare delle vere e proprie minacce.
Tra i fattori determinanti per delineare un profilo di un brand di successo e di un modo efficace di fare marketing, sono state individuate la trasparenza, l’onestà. Secondo lei, nel panorama comunicativo attuale vertente molto sulla dimensione “digital”, la verità può quindi essere una delle armi per un brand per emergere?
Non essere trasparenti credo che rientri in quelle situazioni di vulnerabilità che rendono un’azienda insostenibile, e oggi è talmente facile far emergere la verità che per le aziende è essenziale dichiarare tutto quello che può interessare il consumatore. Tra l’altro i consumatori sono ben disposti nel “perdonare” un’azienda che ammette di avere dei problemi su qualche versante, ma sono invece spietati verso quei brand che non dichiarano le loro vulnerabilità. Essere sinceri vuol dire conquistarsi una fiducia che servirà soprattutto quando si presenterà un problema, e l’occasione accadrà di certo. Per tutelarsi, occorre essere trasparenti, anche nelle cose negative. Ad esempio Barilla, uno dei nomi presenti al nostro incontro, è molto sincera sulla riciclabilità dei propri packaging, dichiarando sia quando sono differenziabili sia quando non lo sono ancora. Questa sincerità è sempre apprezzata. La sostenibilità esiste quando si basa su un rapporto reale, in cui si dimostra che si sta facendo il possibile per non apportare danni all’ambiente o alla società e non nascondendo quando invece c’è ancora strada da fare.
Com’è possibile per le aziende conciliare la corsa a uno sviluppo economico inarrestabile con un modus operandi che tenga conto della dimensione della sostenibilità?
Non sempre le due cose si conciliano. La cosa importante per un’azienda è l’aver definito a monte il proprio obiettivo: se come scopo si ha quello di guadagnare il più possibile senza preoccuparsi troppo delle conseguenze future, allora la sostenibilità quasi non serve. Se invece un brand vuole migliorarsi nel tempo, nel lungo termine, allora è un discorso diverso. Ricordiamoci che sostenibilità vuol dire anche durabilità, e quindi se voglio che tra trent’anni si possano ancora comprare felicemente i prodotti della mia azienda, conviene rinunciare a qualche beneficio immediato valido però solo sul breve periodo. Si tratta di strategie diverse: aziende che vogliono un brand super, vogliono un brand che tra cinquant’anni ci sia ancora, e quindi devono agire di conseguenza.
Cosa si aspetta dall’evento in programma il 15 aprile?
Mi piacerebbe molto che i ragazzi entrassero in comunicazione con i relatori presenti, condividendo con loro dubbi e speranze. Le aziende hanno mille occasioni e mille palcoscenici per parlare e per mostrare la loro attività, ma in questo caso mi piacerebbe che ascoltassero maggiormente e che rispondessero alle domande da parte degli studenti.
Lucia Mancini