Avvocato e professoressa, con una carriera accademica e professionale portata avanti insieme a numerose collaborazioni di carattere scientifico, Giusella Finocchiaro è in Italia una dei massimi esperti in materia di normativa di internet e nuove tecnologie. Il suo studio legale, con sede a Bologna, si occupa da anni di intelligenza artificiale e responsabilità, di blockchain e smart contract, di protezione di dati personali, di e-commerce, firme elettroniche e altro ancora. La sua esperienza l’ha portata in passato a collaborare con il Ministero di Giustizia. Eletta Presidente dell’UNCITRAL (Commissione delle Nazioni Unite per il Diritto del Commercio Internazionale) Working Group sul commercio elettronico, è, tra gli altri ruoli, anche membro del Giurì dell’Autodisciplina Pubblicitaria, membro del Consiglio dell’ACRI, membro del Comitato per l’etica dell’IVASS (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni) e, dal 2015, anche Presidente della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. Traguardi, questi, che ne evidenziano la professionalità e la competenza in materia.
Dott.ssa Giusella Finocchiaro, tra i suoi numerosi ruoli vi è anche quello di Presidente della Fondazione del Monte, una realtà che opera nell’ambito della cultura, del sociale, dello sviluppo del territorio e della ricerca scientifica. Quali sono le ultime iniziative promosse dalla Fondazione e quali le sue finalità?
La Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna investe innanzitutto nella scuola e nell’educazione, in tutte le sue possibili declinazioni: anche in anni difficili non abbiamo mai ridotto questi contributi, così come non abbiamo mai tagliato i fondi per i progetti destinati ai giovani. Aumentiamo, invece, l’attenzione sui progetti che riguardano gli anziani: prendendo atto dei dati demografici che caratterizzano i nostri territori, abbiamo ritenuto rilevante dedicare maggiore attenzione ai progetti che prevedano non soltanto assistenza agli anziani, ma anche coinvolgimento e valorizzazione delle risorse che rappresentano.
Il filo rosso, anzi il filo rosa, trasversale agli interventi della Fondazione è costituito dall’attenzione verso le donne. In un momento storico nel quale non si può ritenere acquisito alcun diritto e nel quale aumenta la violenza verso le donne, riteniamo di dovere mantenere accesa una luce sulla specificità femminile. Così va letta la parità di genere negli organi della nostra Fondazione, unica in Italia: non è una rivendicazione, ma un’affermazione.
Lei è specialista in diritto delle nuove tecnologie, privacy, e-commerce, documento informatico e firme elettroniche. Qual è la situazione italiana in merito a queste innovazioni tecnologiche, soprattutto in un confronto con le altre realtà europee?
Al contrario di quanto spesso si ritiene, siamo fra i Paesi più avanzati sotto il profilo normativo. L’Italia per prima in Europa si è data una normativa sul documento informatico e sulla firma digitale, già nel 1997. Di recente, in anticipo rispetto ad altri Paesi, ha completato la procedura di interoperabilità del nostro servizio di identità digitale SPID, ai fini del mutuo riconoscimento del sistema di identificazione all’interno di tutti gli Stati membri UE.
Anche in materia di protezione dei dati personali costituiamo un punto di riferimento.
Se si può individuare una criticità, è che a volte emaniamo troppe norme, come nel caso della blockchain e degli smart contract. La Commissione che ho presieduto per elaborare una proposta di coordinamento fra il Codice privacy italiano e il Regolamento europeo, il c.d. GDPR, ha avuto il grande merito di tagliare molte norme, dichiarandone l’abrogazione espressa.
Nell’economia digitale moderna, molte volte si sente la frase “i dati sono il nuovo petrolio”. Cosa significa e quali conseguenze giuridiche comporta questa affermazione?
Considerare i dati personali “il nuovo petrolio” è una formula un po’ ad effetto per sottolineare il fatto che il dato personale non è solo la proiezione della personalità dell’individuo ma può anche essere considerato bene giuridico economicamente valutabile ed oggetto di scambio. Tale visione non è univocamente accettata: le posizioni dottrinali più tradizionali la rigettano, tuttavia, nel paradigma economico odierno, pare evidente che gran parte degli scambi digitali abbia quale controprestazione proprio l’utilizzo di alcuni dati personali dell’utente.
Considerata l’enorme mole di dati che ogni giorno transitano sul web è facile comprendere come il conseguente giro d’affari possa, non del tutto a torto, essere definito “nuovo petrolio”.
Spesso, in merito di diritto delle nuove tecnologie, si è poco informati, sia per quanto riguarda i semplici cittadini che per quanto riguarda professionisti operanti in materia. Quale tipo di interventi, secondo lei, è necessario attuare per sanare tali lacune?
Si tratta di un diritto molto recente, che si è sviluppato in maniera preponderante solo negli ultimi due decenni e una larga fascia di popolazione, e anche di giuristi, si è formata utilizzando tecnologie e applicando paradigmi ben diversi dagli attuali. Tale fascia di pubblico può essere oggettivamente e inconsapevolmente restia ad aggiornarsi su questi nuovi temi.
Diverso è invece il discorso per coloro i quali si confrontano quotidianamente con le nuove tecnologie, sia professionalmente sia nella vita di tutti i giorni, che si reputano esperti in materia in forza del costante utilizzo, senza tuttavia avere sempre una visione completa sulle effettive conseguenze della propria attività.
Occorre dunque sviluppare, a partire dai livelli inferiori di istruzione fino all’università, un nuovo approccio alle materie e ai concetti giuridici tradizionali che non può più omettere il riferimento alle implicazioni che le nuove tecnologie portano al diritto vigente.
Per il grande pubblico sarebbero invece necessarie campagne di sensibilizzazione, anche tramite social network, sui diritti di interessati ed utenti delle nuove tecnologie oltre che sui rischi che possono insorgere da un utilizzo non attento e consapevole degli strumenti tecnologici odierni.