La Coppa del Mondo di Calcio appena conclusasi a Doha con la vittoria dell’Argentina sulla Francia ci mostra più forte che mai che il calcio —più che un gioco— è un «fenomeno sociale».
Molteplici storie di vita ci portano infatti a scoprire un calcio capace di aiutare le persone ad emanciparsi, a riscattarsi ed a dimenticare le difficoltà e le pene della vita quotidiana, a far perfino ripartire l’economia producendo un aumento del PIL.
È questo il fenomeno dell’identificazione sociale intorno alla figura dell’eroe-campione che vediamo esplicitarsi nei collegamenti televisivi con Buenos Aires, dove i vecchini dicono che non hanno nulla, che sono poverissimi, ma che la vittoria dell’Argentina ai mondiali li riempie di gioia, colmando un’esistenza fino ad oggi ritenuta misera.
Il calcio diventa così un fenomeno —un fatto sociale, direbbe Durkheim— che ha la capacità di contribuire in modo significativo al benessere dell’essere umano, e perfino allo sviluppo ed al progresso dell’intera società, perché —come è stato possibile appurare su base empirica— la vittoria di una squadra porta ottimismo tra i consumatori, così gli acquisti aumentano e l’economia riparte.
Calcio: la Abn Amrobank ha calcolato uno 0,7% di crescita aggiuntiva del PIL del Paese che vince la Coppa del Mondo: 3,4 miliardi di dollari in più nel caso dell’Argentina
Queste teorie sono convalidate dalla “ricerca empirica”. La Abn Amrobank, la terza banca più importante d’Olanda ed una delle maggiori banche mondiali, è riuscita a misurare gli effetti della vincita di un mondiale sull’economia: lo 0,7% di crescita aggiuntiva del Pil nazionale, quindi un +3,4 miliardi di dollari nel caso dell’Argentina, su un PIL totale che nel Paese sudamericano è di 492 miliardi di dollari.
Altri studi ancora riportano che, entro un mese dal risultato calcistico, la vittoria di una squadra ai mondiali incide notevolmente anche sulle quotazioni di Borsa, con i listini della nazione vincitrice che registrano sovra-performance del 3,5% rispetto agli altri mercati.
Un risultato non di poco conto se pensiamo ad un Paese come l’Argentina dove l’inflazione ha raggiunto il punto massimo degli ultimi 20 anni: il 92,40% su base annua, confermando il primato dell’Argentina quale uno dei Paesi con il più alto tasso d’inflazione al mondo.
Un sondaggio condotto a Buenos Aires tra analisti ed economisti dalla Banca Centrale indica poi addirittura sopra al 100% il tasso di inflazione previsto per la fine del 2022. Ed in un contesto così drammatico una vittoria del genere ai mondiali era più che opportuna per cercare di risollevare il morale di un Paese così alla deriva.
Come accadeva già all’epoca dell’Antica Grecia, lo sport è dunque un fenomeno sociale che parte dall’identificazione con l’eroe-campione, per arrivare oggi con il calcio alla più profonda identificazione di un intero popolo con la sua squadra ed alla capacità di un riscatto sociale collettivo che, portando ottimismo tra i consumatori, produce effetti concreti sull’economia.
Ma il calcio può anche essere un pericoloso strumento di controllo e gli argentini lo sanno bene. Accadde con il campionato del 1978, che si svolse proprio in Argentina in un ambiente fortemente teso a causa della situazione politico-sociale dopo l’instaurazione nel 1976 di un oppressivo regime militare. La giunta al potere si occupò direttamente dell’organizzazione dei mondiali, sfruttando propagandisticamente questo sport per rafforzare la sua autorità.
La vittoria in casa dell’Argentina nel 1978 esaltò il nazionalismo della popolazione e diede prestigio al regime militare. Ma la storia è ciclica e si ripete: già Mussolini aveva ben compreso l’importanza «sociale» del calcio e investì cospicuamente sulle infrastrutture e sulla propaganda della figura del «calciatore super-uomo».
Oggi, in una società sempre più liquida ed in un mondo che esalta l’individualismo, il calcio offre la possibilità di tornare ad un senso di comunità, di sentirsi parte di qualcosa. Ciò che realmente conta nel calcio è insomma proprio il senso di appartenenza, uno dei motivi per cui questo sport è seguito da un numero così elevato di aficionados in ogni angolo del Pianeta.
È un momento di grande «socialità» quando ci si riunisce con la famiglia o con gli amici per vedere giocare la propria nazionale.
Ma «fenomeno sociale» legato a questi ultimi mondiali è anche il compromesso negoziato dalla FIFA con le autorità del Qatar, che ha lasciato troppi morti alle spalle e troppi diritti umani disattesi. Secondo l’autorevole quotidiano britannico «The Guardian», nella costruzione degli stadi per questi ultimi mondiali sono morti 6.500 operai.
Il Qatar è inoltre il primo Paese al mondo per emissioni pro-capite e solo il 2% dell’energia è prodotta da fonti rinnovabili. Secondo il rapporto ufficiale della stessa FIFA, il Mondiale in Qatar ha causato emissioni per 3,6 milioni di tonnellate di CO2, 1,5 milioni di tonnellate in più rispetto all’inquinamento causato dall’edizione del 2018, molto più di quanto alcuni Paesi producono in un intero anno.
Solo per il mantenimento di un singolo campo da calcio in questo periodo, caratterizzato da temperature medie che in Qatar sono vicine ai 25 gradi, sono necessari 10 mila litri d’acqua al giorno, da moltiplicare per 144 campi approntati per il Mondiale, dove fare arrivare l’acqua non è facile e la desalinizzazione di quella marina richiede un elevato consumo di energia elettrica, oltre il 99% della quale in Qatar viene prodotta da petrolio e gas.
Insomma il «fatto sociale» legato ai mondiali è anche l’ennesimo tentativo di “greenwashing”<> che si inserisce su quella pericolosa strada di voler scaricare su qualcun altro le responsabilità di comportamenti antropici che oggi forse andrebbero evitati se l’obiettivo fosse quello di coinvolgere i singoli verso azioni climaticamente consapevoli. (Sharing-Media.com)
Articolo completo alla pagina web: www.sharing-media.com/anno02/sm559.pdf