Gianpiero Kesten, una delle voci più popolari nel mondo dei podcast in Italia e vincitore di numerosi premi col suo «Cose Molto Umane», si racconta nella nuova puntata di One More Time di Luca Casadei. E, non poteva essere altrimenti, il focus dell’episodio è il fenomeno dei podcast, esploso negli ultimi anni; eppure, molti dei podcaster più in voga hanno ancora volti sconosciuti al grande pubblico, peculiarità che fa da sfondo alla chiacchierata tra Luca e Gianpiero, che inizia però dalle origini dell’artista da oltre un milione di ascolti mensili: «Nasco da genitori cileni, venuti in Italia per motivi politici. Sognavo di fare la rockstar e ho studiato al Dams per immergermi nel mondo della musica dal punto di vista accademico, ma poi sono passato allo IULM di Milano per studiare Scienze della Comunicazione. Lì ho seguito un corso sulla radio, da quel momento è iniziata la mia passione per il settore radiofonico. Volevo lavorare a Radio Popolare e ci sono riuscito, ma avevo il terrore di andare in onda: la prima volta ho portato in studio un secchio perché avevo paura di vomitare dalla paura».
Gianpiero Kesten, uno dei podcaster più in voga negli ultimi anni, ideatore di «Cose Molto Umane», si racconta al podcast One More Time di Luca Casadei, tra origini, esperienze come professore, pandemia e il futuro di questo mondo
E poi gli inizi, l’esperienza nella redazione de Le Iene, il primo figlio in arrivo e una svolta inaspettata: essere assunto come professore d’inglese in un istituto alberghiero: «I primi mesi son stati un inferno, ho commesso un grave errore: mi sono presentato come il classico prof simpatico. Poi però si sono creati dei bei rapporti umani, per me fare lezione era come raccontare delle storie. Ho fatto il professore per sette anni, ho terminato quest’avventura da poco: non ho più il fisico per gli sport estremi». Durante il suo percorso da insegnante, infatti, Kesten ha iniziato il suo viaggio parallelo nel mondo dei podcast: «Andavo a dormire alle due del mattino, temevo di non fare bene nessuna delle due cose. Ho dovuto fare una scelta». Scelta che oggi lo ha portato a concentrarsi sul podcast che lo ha reso una delle voci più note del panorama italiano, «Cose Molto Umane»: «Il progetto nasce nel 2020, durante la pandemia. A scuola le lezioni erano a distanza, in radio non potevo andare. Mi son trovato a casa un po’ spaventato, un po’ annoiato e con del tempo libero. Da lì è nata l’idea. In quel momento gli ascoltatori della radio avevano una grandissima fame di quello che la radio sa fare meglio, ovvero creare comunità. Il podcast è nato con questo scopo, partendo da quelle notizie un po’ da “nerd” che piacciono a me, sviluppandosi poi nel prendere le domande più strane lette su internet per parlare di umanità. All’inizio non ero neanche in grado di montare le puntate, registravo da un camper».
Ma il successo è arrivato quasi subito: «All’inizio facevo poche decine di ascolti, poi cento. L’idea era di andare avanti fino alla fine della pandemia, ma in molti mi hanno chiesto di andare avanti; ci sono riuscito anche grazie ai sostenitori sulla piattaforma di crowdfunding Patreon. Il vero seguito è arrivato con il boom dei podcast degli ultimi anni e anche grazie a Spotify: venivo consigliato nella categoria dei “daily”. Ad oggi sono oltre ottocento puntate e più di un milione di ascolti al mese». La conversazione, poi, verte su come si riesca a guadagnare coi podcast: «I podcast sono un prodotto estremamente appetibile per chi vuole fare pubblicità, perché si crea un rapporto molto stretto con gli ascoltatori. Oggi la pubblicità è entrata in modo organico in questo mondo e rappresenta la principale fonte di reddito. Soprattutto tramite le sponsorizzazioni in cui il podcaster diventa un testimonial, al di là degli spot che inframezzano le puntate». Infine, una riflessione sui podcast: «Non credo che qualcuno all’inizio pensasse che potessero avere così tanto successo. Ma hanno riempito un vuoto che in qualche modo andava colmato, oggi c’è un podcast per ogni nicchia. Ha dato la possibilità di riscrivere il modo di raccontare le cose. È un vero e proprio linguaggio e c’è ancora molto da inventare».