Che lavoro vorresti fare da grande? È la domanda che oggi tormenta la GenZ alimentando dubbi, paure e ansie sulla vita da adulti che, come mai prima d’ora, per i giovani diventano una montagna da scalare. In cima vi è la meta più agognata: trovare il proprio posto nel mondo. Ma perché? Occorre fare una premessa, i ragazzi sono in mezzo a due fuochi: da un lato il retaggio delle lamentele dei genitori e di eventuali prime esperienze negative che li rendono diffidenti e malpensanti e dall’altro un grandissimo desiderio di diventare grandi, di esprimersi e di sentirsi finalmente pronti per poter rispondere a quella fatidica domanda. Sullo sfondo la paura di non riuscire ad avere tempo per sé e, in generale, vedersi protagonisti del loro futuro.
La società di consulenza Zelo – che in base ai bisogni delle aziende realizza progetti di valore dedicati alla Generazione Z sulla base di insight appositamente raccolti tramite un confronto diretto e sincero con i ragazzi – ha interpellato un campione di 5.915 GenZ per comprendere realmente quale sia l’approccio al lavoro di questa generazione, troppo spesso appellata come “sfaticata”. Multinazionali e startup sono infatti sempre più alla ricerca di giovani talenti, ma quanto li conoscono davvero? I tanti paradossi in cui vivono i nati tra il 1997 e il 2012 inducono spesso in errore il mondo degli adulti, aziende e HR inclusi. Zelo può aiutare a fare chiarezza, permettendo di capire le reali esigenze degli ultimi arrivati nel mondo del lavoro e generare un cambio di prospettiva.
La GenZ risponde: non siamo “sfaticati”, vogliamo solo essere protagonisti del nostro futuro e CEO dei nostri sogni
Cosa desidera quindi un GenZ?
- il 41% preferirebbe lavorare in una grande azienda perché rassicurato dalla sua stabilità seppur, nel profondo, le multinazionali piene di superuomini e superdonne “sempre così performanti” intimoriscono i ragazzi;
- vogliono esser a capo di un’azienda tutta loro in cui sentirsi protagonisti del proprio sogno, ma quando si tratta di doversi prendere le responsabilità, circa il 60%, afferma di volerle condividere con il team o di non volersele “accollare” perché generano ansia;
- vivono nella costante paura del fallimento e del timore del giudizio perché, per l’effetto dei social, sono cresciuti in costante confronto non solo con gli altri, ma con un mondo intero. Proprio per questo sono abituati alla gratificazione immediata e per loro i feedback non sono un plus, ma l’ossessione che li guida nei progetti e nelle loro giornate lavorative. Per il 38%, infatti, il feedback deve avere con sé un suggerimento o esempio concreto, “così capiscono” e un riscontro negativo porta il 37% a far salire l’ansia e a far dubitare di sé stessi;
- hanno bisogno di leader che sappiano parlare, motivare, spiegare bene e che “parlino bene di loro” con gli altri, non stupisce quindi che circa il 60% afferma di sentirsi gratificato se il proprio capo parla bene di loro, li sponsorizza o ricevono complimenti dai colleghi vs 37% a cui basterebbe un “semplice” premio in denaro;
- per il 42% il lavoro ideale non è scandito da regole, ma da obiettivi chiari e perseguibili, meglio ancora se ad accoglierli in un’azienda, nelle prime fasi di onboarding, c’è un tutor dedicato (49%): un coach per la vita da adulti;
- esprimono esplicitamente il bisogno di relazioni umane, infatti, anche sul posto di lavoro, sono alla ricerca di nuovi amici con cui magari fare i Be Real durante la giornata e con cui andare agli eventi post lavoro per placare la FOMO. Il 30% ha infatti affermato di avere un rapporto di amicizia con i propri colleghi;
- e lo smart working? Un falso mito per attrarre la GenZ: il 39% infatti non lo ritiene fondamentale se in ballo c’è un lavoro che gli piace fare. Fa invece riflettere un 14% che pensa che il lavoro da remoto sia “indispensabile” per limitare quell’ansia sociale che questa generazione vive costantemente, perché si sente sempre sotto il giudizio e avverte la pressione dei ruoli affidatigli e che non vuole interpretare.
A fronte di questo profilo che caratterizza una generazione “emotiva”, profondamente diversa da quelle che l’hanno preceduta, anche gli HR devono rivedere i loro modelli operativi. Occorre infatti considerare che gli ultimi vent’anni sono gli unici in cui hanno vissuto i ragazzi della GenZ, ma sono anche quelli in cui si è alleggerito sensibilmente il livello di formalità in ogni ambito della vita. Dar del “lei” è diventato demodé, le persone più ispirazionali del pianeta girano in maglietta e dolcevita unicolor, le chat hanno preso il posto delle panchine e i grandi must “di eleganza” sono diventati pezzi iconici per le feste in maschera. La “recruting journey” va quindi ripensata: dal linguaggio, ai cerimoniali, all’accoglienza, ai job title, all’iter di selezione e a tutto quello che si fa per “sembrare seri” oggi non convince più, né affascina. Zelo, può supportare le aziende in questa trasformazione, la ricerca ha infatti emergere che:
- il 59% dei ragazzi vorrebbe essere reclutato dalle aziende in maniera amichevole e preferirebbe che, al posto di usare LinkedIn, gli HR andassero a guardare i loro profili su Instagram dove si presentano come sono davvero e non si sentono “impacciati”;
- il 21% vorrebbe che l’azienda offrisse loro una piattaforma per prepararsi e aiutarli a “fare bella figura” infatti, fare una buona impressione e non deludere le aspettative dei “grandi” è il loro mantra. Ne sono ossessionati. I GenZ si preparano sempre ai colloqui per paura di arrivare impreparati e fallire, come? Consultando i video-tutorial su YouTube o TikTok dove ci sono anche i consigli su come rispondere alle domande degli HR e i consigli su come vestirsi;
- il contratto a tempo indeterminato fa ancora sentire realizzati (37%), ma per il 14% serve solo a far contenti i genitori, vere e proprie guide spirituali di questa generazione a cui si rivolgono anche per essere aiutati a leggere un contratto o fare “cose burocratiche”. La burocrazia li terrorizza ed è una delle loro più grandi paure al lavoro (23%) dopo il sentirsi inutili o non ascoltati (32%);
- le opinioni sono importanti, se non fondamentali, quindi aziende occhio a cosa dicono di voi i vostri lavoratori perché il 30% del campione di ragazzi ascoltati da Zelo ha affermato di scegliere un’azienda in base alle recensioni dei dipendenti che legge online. L’azienda dove la GenZ sceglie di lavorare è infatti la prima riga della loro bio sui social e deve avere anche lei una bella reputazione, altrimenti è motivo di vergogna.
“La GenZ ci continua a sorprendere: vogliono realizzarsi, veder riconosciuto il proprio talento e sentirsi importanti tra i grandi, ma soffrono le regole e hanno un’allergia generazionale alle procedure e alle gerarchie. È questo ciò che spesso li fa etichettare come sfaticati, ma c’è bisogno che gli adulti cambino il proprio punto di vista: non si tratta di non voler lavorare, ma di avere una più spiccata sensibilità che rende i ragazzi bisognosi di essere riconosciuti per la loro unicità anche sul lavoro. I GenZ non si adattano a modelli standardizzati ma desiderano essere ascoltati e ricevere dei feedback chiari che dimostrino attenzione per la loro crescita professionale” – ha dichiarato Cecilia Nostro, Founder di Zelo. “Lavorando al fianco di HR e CEO abbiamo rilevato come sia fondamentale indagare con sincerità questa generazione così complicata e sfaccettata per risolvere il profondo fraintendimento che impedisce oggi di valorizzarne al meglio le skill. È un punto fondamentale per non avere un gap di professionisti nei prossimi anni e aiutare le aziende a costruire un mondo a prova di GenZ”.