Guido Ghedin – Managing Partner di Young Digitals – ha partecipato come relatore al Forum Food e Made in Italy del Sole24Ore, parlando del controllo della filiera della comunicazione del cibo italiano all’estero, in un mondo globale e digitale. Ecco, in sintesi, i contenuti del suo intervento.
“Nei mercati internazionali l’Italian sound abbinato al cibo è senza dubbio un elemento che attrae e incentiva i consumi. Basti pensare all’acqua minerale, che in Cina viene venduta come un prodotto di lusso, così come il prosecco negli Stati Uniti, solo per fare qualche esempio. La cucina italiana, in India, ha superato quella francese e sta insidiando quella locale. Troppo spesso, però, la maggior parte dei brand che richiamano al Made in Italy “sounds good” ma “tastes bad”: si calcola, infatti, che meno del 30% è realmente italiano, e tra questi non tutti sono effettivamente prodotti in Italia. Su quasi 5.000 prodotti alimentari censiti Made in Italy, infatti, solo poche decine sono effettivamente reperibili nei mercati stranieri.
I nostri brand, inoltre, per vendere e comunicare, si affidano a partner che trovano in loco, con cui però manca una condivisione di conoscenza comune. Talvolta, tutto – anche la comunicazione – viene affidato al distributore, senza tenere in considerazione che gli obiettivi di quest’ultimo sono molto diversi e rispetto a quelli di chi produce. In Cina, troppo spesso, i distributori locali decidono nomi, traduzioni e posizionamento dei prodotti, provocando, sempre più spesso, danni enormi alla brand equity dei nostri marchi. Di fronte a tutto questo, le eccellenze del food Made in Italy si trovano di fronte a una sfida che può rappresentare un’enorme opportunità: riappropriarsi di ciò che è nostro per comunicarlo e raccontarlo a modo nostro.
Dobbiamo quindi saper controllare non solo il processo produttivo, ma anche il messaggio, e i canali con cui viene diffuso. Perché non basta affannarsi a contare i centimetri del Km0 se, allo stesso tempo, sottovalutiamo i 7000 km che ci separano da Shanghai o i 9000 km da Los Angeles. Per costruire e controllare il messaggio, è necessario, innanzitutto, conoscere le diverse culture per adattare con coraggio i nostri contenuti agli stili di vita – in questo caso di alimentazione – dei Paesi in cui vogliamo comunicare. A Tokyo, ad esempio, il panettone si mangia tutto l’anno e non solo a Natale. In alcune culture asiatiche, addirittura, non esiste una parola per dire “vino” ma solo un’ideogramma che indica l’“alcool”.
Quando parliamo di food e di culture locali, ci riferiamo innanzitutto alle ricette locali, che possono diventare una leva strategica anche per i prodotti Made in Italy. Abbinare i nostri vini o i nostri dolci ai piatti internazionali, ci permette di agganciarci con successo a tradizioni culinarie molto diverse dalle nostre, che tuttavia possono trainare con successo il cibo italiano.
Una volta costruito il messaggio, è necessario saper scegliere i canali giusti per veicolarlo in modo efficace. Occorre quindi studiare strategie ah hoc, cucite su misura ai Paesi in cui vogliamo comunicare. Perché posizionare un brand su un eCommerce sbagliato, è come aprire un ristorante in un quartiere sbagliato. Diffondere i nostri messaggi su un social network sbagliato, è come posizionare un prodotto in uno scaffale sbagliato.
Fiere ed eventi, se sanno coinvolgere e raccontare i nostri prodotti, possono essere soluzioni molto interessanti. Così come la scelta di influencer e celebrities che oggi si esprimono sempre più spesso si esprimono sul digitale. Basti pensare che XiaChuFang, una piattaforma social cinese di ricette user generated, ha 10 milioni di aspiranti food blogger che non vedono l’ora di poter scoprire e raccontare la cultura italiana.
In tutto questo, la comunicazione digitale permette ai nostri brand di raggiungere in modo efficace Paesi e tradizioni molto diverse dalle nostre. Ma non basta spiegare perché comprare food Made in Italy. Dobbiamo comunicare anche la nostra cultura del cibo: come cucinarlo, quando berlo, dove mangiarlo, come abbinarlo.
Ecco perché, riprendendo un ideogramma cinese che recita “xiachufang” e che significa “andare in cucina”, dobbiamo tornare dove tutto è partito: dalle cucine. E lo dobbiamo fare controllando i nostri messaggi, costruendo campagne che tengano le redini strategiche e creative in Italia ma che sappiano essere declinate, di volta in volta, nei Paesi in cui vogliamo comunicare. Solo così, il food Made in Italy entrerà nelle cucine di tutto il mondo per non uscirci più”.