Grazie a #SheMeansBusiness, l’iniziativa nata appositamente per sostenere le donne d’impresa, lanciata da Facebook in collaborazione con Fondazione Mondo Digitale (FMD), abbiamo potuto esplorare il florido orizzonte dell’imprenditoria femminile nel nostro paese, la quale, grazie all’utilizzo adeguato degli strumenti e delle possibilità di promozione offerte da piattaforme come Facebook e Instagram, può incrementare sensibilmente le sue prospettive di sviluppo. Un esempio virtuoso in questo senso ce lo offre l’esperienza di Orange Fiber, creatura delle catanesi Enrica Arena e Adriana Santanocito, azienda green all’avanguardia che produce tessuti di alta qualità partendo dai sottoprodotti dell’industria agrumicola. Enrica Arena ci ha raccontato la storia di una scommessa vincente che si trasforma di giorno giorno, crescendo all’insegna del superamento di nuove sfide per raggiungere obiettivi sempre più grandi.
Come nasce l’idea di Orange Fiber: qual è la sua storia?
Il progetto nasce dall’intuizione di Adriana Santanocito di poter creare un tessuto partendo da un tipo di materiale ecologico e inedito, in questo caso le arance. Adriana ha studiato Fashion Design presso l’AFOL Moda di Milano e, alla fine dell’anno accademico 2011/2012, ha deciso di dedicare la sua tesi proprio all’esplorazione di nuovi possibili tessuti da utilizzare nel settore fashion, ipotizzando di poterne ricavare una nuova tipologia partendo appunto dagli agrumi. Questa idea è stata fortemente supportata dalla professoressa di Adriana, che l’ha introdotta al Politecnico di Milano dove ha potuto conoscere una serie di professori di chimica, uno dei quali le ha consentito di testare la fattibilità del progetto all’interno dei laboratori del Politecnico stesso. Da una parte c’era dunque il desiderio di portare avanti un’idea innovativa, e, fortunatamente, dall’altra si sono presentate tutte le condizioni più propizie affinché ciò accadesse. In laboratorio finalmente ha preso vita quanto fino a quel momento era semplicemente teorizzato su carta. Sempre grazie alla sua scuola di moda, Adriana è potuta venire a conoscenza anche delle opportunità offerte alle start up in un momento storico in cui esse non erano ancora al centro dell’attenzione come lo sono oggi.
In occasione della presentazione di uno di questi bandi, Adriana mi ha chiesto di entrare a far parte del team per integrarne la struttura ed è iniziata così ufficialmente l’avventura di Orange Fiber. Siamo partite in maniera piuttosto ingenua all’inizio, ma poi le cose hanno cominciato a ingranare e allora abbiamo deciso di dedicarci a tempo pieno alla start up, cercando bandi pubblici e investitori esterni per sostenere la nostra attività, fino ad arrivare alla creazione del prototipo del tessuto e alla nascita dell’azienda vera e propria nel 2014. Adriana e io siamo entrambe catanesi, per cui la scelta delle arance come punto di partenza rivela anche un forte legame con il territorio. Col tempo ci siamo rese conto anche di quanto convenisse riutilizzare il sottoprodotto delle arance, ossia il residuo della spremitura industriale, quella parte del frutto non destinabile a uso alimentare: questa consapevolezza ci ha consentito di stringere partnership con gli spremitori, in modo da creare una sinergia virtuosa e una crescita davvero sostenibile. Dal sottoprodotto riusciamo a ottenere attraverso i nostri procedimenti della cellulosa, la quale, dopo ulteriori trattamenti, diventa filabile e, di conseguenza, viene filata e tessuta.
Essere pioniere non è mai una passeggiata: quanto è stato accidentato il vostro cammino?
Le difficoltà ci sono state e non sono finite: fa parte dell’esperienza di ogni imprenditore trovarsi davanti a ostacoli da superare per raggiungere l’obiettivo. I problemi poi si evolvono in base al ciclo di vita dell’azienda: nel nostro caso, le problematiche maggiori sono riconducibili alla disponibilità di capitali, anche se noi siamo state fortunate, perché abbiamo potuto partecipare sia a bandi nazionali sia a bandi regionali. Dal punto di vista dei fondi privati, la disponibilità degli investitori a scommettere su qualcosa di industriale ma ancora fortemente innovativo non è ancora tantissima. Inoltre, noi abbiamo a che fare con una filiera produttiva molto complessa. Un progetto che abbraccia una filiera che va dalle arance a un tessuto, con passaggi molto verticalizzati, non può non incontrare dei nodi da sciogliere: noi facciamo parlare tra loro tutti i componenti della filiera e, in qualche misura, copriamo anche delle caselle di produzione. È importante trovare persone competenti per fare insieme questo viaggio: è impegnativo, è una grande sfida.
Che ruolo hanno giocato i social network e la comunicazione con i follower, nella grande partita per lo sviluppo dell’azienda?
Per noi i social network e il contatto diretto con le persone sono stati la più grande chiave di volta nel processo di crescita. Noi muoviamo, tramite la conversazione con il cliente finale o il pubblico generico, l’interesse dei brand che di conseguenza acquistano il nostro tessuto e lo inseriscono in collezione. Per noi il coinvolgimento è fondamentale: attraverso la risposta avuta sui social rispetto alla novità della nostra storia e del nostro tessuto sostenibile, abbiamo potuto effettuare un primo test per capire il reale interesse del mercato per il prodotto. Facebook e Instagram ci hanno permesso di ricevere richieste di collaborazione o addirittura di materiale, di entrare in conversazione con i più grandi professionisti e influencer del mondo della moda. Lo storytelling è il cuore del nostro marchio, altrimenti avremmo rischiato di essere un’azienda di tecnologia indicibile all’esterno.
Che tipo di impronta avete voluto dare alla comunicazione del vostro progetto?
In generale, quello che ci contraddistingue è il racconto della storia personale e imprenditoriale unita a quella del processo produttivo: fino all’uscita della prima collezione con Salvatore Ferragamo, lo scorso 7 aprile, la nostra è stata una comunicazione di impresa, di progetto. Dopo il debutto della collezione, ovviamente, il focus si è spostato sul prodotto in maniera decisa, perché finalmente abbiamo avuto dei capi da mostrare. Abbiamo scelto una comunicazione molto diretta, orientata sia ad aumentare la consapevolezza delle persone interessate sull’origine dei materiali e sull’impatto ambientale, sia al racconto della storia personale del prodotto.
Come si è sviluppata e cosa ha significato per voi la collaborazione con un big della moda come Salvatore Ferragamo?
Il rapporto con un marchio prestigioso come Salvatore Ferragamo si è sviluppato per oltre un anno fino a portare alla realizzazione di un prodotto finito: sono state create anche delle stampe ad hoc ispirate al Mediterraneo per impreziosire il nostro tessuto. I capi sono stati lanciati lo scorso 22 aprile in occasione della Giornata della Terra e il ventaglio comprende circa 15 realizzazioni differenti che vanno dal foulard all’abito al twin set, per dimostrare come il nostro tessuto possa essere declinato nelle applicazioni più diverse. Per noi è stato un sogno che diventa realtà, perché Ferragamo significa Made in Italy, significa qualità e significa attenzione alla sostenibilità, ossia tutti i valori che animano il nostro operato. Condividere un senso etico comune con un brand del genere è stato un punto importantissimo per la nostra crescita e per la nostra personale soddisfazione. L’attenzione alla filiera è stata totale: dall’utilizzo dell’energia fino alle risorse umane coinvolte. Per noi e per loro è stato fondamentale includere tutto nel grande racconto della sostenibilità. Lo scorso 26 settembre, in occasione dei Green Fashion Awards, Ferragamo ha presentato un outfit realizzato interamente in Orange Fiber, dalle scarpe alla borsa passando per l’abito: il risultato finale era del tutto diverso da quanto visto prima e dimostra davvero come questo tipo di materiale possa essere versatile.
Nel futuro di Orange Fiber c’è…?
Ci piacerebbe prevedere il futuro. Al momento, quello che stiamo cercando di fare e che ci tiene impegnate è produrre del nuovo materiale e decidere con quale brand stabilire una nuova collaborazione e lanciare una nuova collezione. Le sfide sono sia di natura produttiva che di natura commerciale. Nei nostri sogni c’è l’obiettivo di crescere e di supportare il progetto in modo da poter aumentare l’impatto dell’acquisto sostenibile di materiali su scala più grande. Infatti stiamo portando avanti anche una serie di attività più istituzionali, come, ad esempio, la presentazione del progetto a Bonn in occasione di un evento collegato alla Cop 23, la conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite. Siamo presenti inoltre nel report presentato dalla Ellen MacArthur Foundation a proposito del futuro delle fibre nel tessile. Accanto alla narrazione della nostra storia non dimentichiamo mai di essere in prima linea per costruire una nuova sensibilità e un’educazione rispetto ai temi della sostenibilità e del futuro della moda. La moda è il secondo settore più inquinante al mondo, per cui bisogna sempre mantenere alta l’attenzione e la volontà di trovare nuove soluzioni di sviluppo.
Elisabetta Pasca