Stefania Mercuri, Partner e General Manager di MY PR, ha partecipato a Cannes Lions in qualità di giurata per la categoria PR: chi meglio di lei poteva raccontarci l’atmosfera, i retroscena e gli aspetti più interessanti della kermesse festivaliera più importante per il mondo dell’advertising?
Come descriveresti l’esperienza di giurata ai Cannes Lions di quest’anno?
Si tratta senza dubbio di un’esperienza molto affascinante: si ha la possibilità di confrontarsi con un gruppo di ottimi professionisti provenienti da diverse culture e portatori di modalità di giudizio completamente differenti. Questo aspetto rappresenta sia una difficoltà che un’opportunità, in quanto offre la possibilità di un confronto inedito e multisfaccettato. I lavori da valutare sono i migliori in assoluto in circolazione, perché sono frutto di una preselezione effettuata da ogni giurato nel proprio paese. Su 2250 campagne esistenti, ne sono arrivate a Cannes 1005, quindi il meglio del mondo della comunicazione. Il Presidente di Giuria ha un ruolo fondamentale, indirizza molto l’andamento dell’edizione: quest’anno per la categoria PR abbiamo avuto un presidente splendido, John Clinton, Chair Canada e North American Head of Creative and Content di Edelman, con un fortissimo background pubblicitario. Clinton ha puntato tantissimo sulla potenza dell’idea creativa, che per la categoria PR non era un elemento così scontato.
Quindi è filato tutto liscio, la scelta della giuria è stata presa senza particolari scossoni?
In realtà, alcuni elementi all’interno della giuria, forse seguendo troppo alla lettera le indicazioni del presidente, erano alla ricerca della creatività a tutti i costi a discapito della vera efficacia dell’azione. Ad esempio, per quanto riguarda il nostro paese, a proposito di The Dilemma, campagna pluripremiata di Heineken, che ha raggiunto grandi risultati non solo in PR ma anche in altre categorie, è stata contestata la similarità di format con Auditorium. Va bene, è vero, ma è proprio il format ad essere vincente: si tratta della piattaforma di comunicazione che Heineken sta usando da cinque anni a questa parte e più la piattaforma funziona più è vincente, perché è vicina ai valori del brand e porta valore alla reputazione del brand. Dunque quando il format è efficace non è necessario per forza inventarne a tutti i costi uno nuovo, si può declinare il progetto originario in innumerevoli declinazioni. Alla fine, però, al di là delle discussioni, siamo riusciti comunque a premiare davvero le campagne più meritevoli. Certo, essere giurato implica grande stress e responsabilità: si lavora per sei giorni chiusi in una stanza, per 12, 13 ore, è una maratona vera e propria, mantenersi sempre focalizzati sull’obiettivo non è facile, ma penso che alla fine siamo riusciti a ottenere il risultato sperato, premiando una campagna meritevolissima come quella COOP sul cibo biologico.
Perché questa campagna è riuscita a fare la differenza?
La campagna ha ottenuto riscontri brillantissimi, sfruttando molto bene un tema delicato, quello della salute, sicuramente vicino ai valori del brand stesso, ossia un retailer del comparto food, intenzionato a guadagnare quote di mercato nel segmento dei cibi biologici. Sono state numerose le campagne in gara che sposavano cause sociali, ma alcune di esse erano del tutto scollegate dal brand: invece per COOP, oltre alla convergenza tra causa e azienda, si è rilevata, anche a livello internazionale, una chiarissima efficacia dell’azione.
Il trend che ha segnato questa edizione 2016?
Qualità altissima e giurie rigidissime, più ostiche e severe rispetto al passato: questo è stato il trend di quest’anno, rilevato anche grazie al confronto con i giurati delle altre categorie. I giudici sono stati super esigenti, ogni anno ormai ci si aspetta sempre di più dal mondo della creatività.
Qual è lo stato di salute della creatività italiana, dunque?
La creatività italiana è assolutamente allo stesso livello di quella degli altri paesi. Forse in Italia siamo ancora un po’ indietro per quanto riguarda la visione di intenti comune tra aziende e agenzie. Ho potuto vedere con i miei occhi tante campagne di paesi stranieri in cui si osava molto di più che da noi: infatti, proprio guardando alle ultime vittorie italiane, ci rendiamo conto che i clienti non sono quasi mai italiani, come accade nel caso di Heineken. Non credo che in Italia il problema sia l’assenza di talenti creativi, anzi siamo davvero molto competitivi da questo punto di vista. Il nodo critico sta nel fatto che per rischiare è necessario il placet dell’azienda: ho visto diverse iniziative particolari e campagne non convenzionali presentate qui a Cannes che non avrebbero sicuramente convinto il cliente ad una piena adesione. Ci vuole più coraggio da parte dei committenti italiani, tutto qui.
Un bilancio finale a margine di questa importante esperienza?
Mi ha fatto molto piacere notare che il settore delle pubbliche relazioni, ossia il mercato che io rappresento, è sempre più centrale in tutte le campagne: generalmente chi vince nel settore PR sbanca anche in altre categorie. Insomma, l’idea PR che punta alla valorizzazione del brand è sempre più essenziale nel media mix. Le relazioni pubbliche una volta erano il ruotino di scorta del marketing, invece, oggi, sono ben presenti nei progetti fin dall’inizio: tutto il panorama mediatico è studiato nei minimi dettagli e dunque o si parte da un piano ben strutturato che ha valore dall’inizio o è impossibile convincere il consumatore.
Elisabetta Pasca
Infografica Cannes Lions 2016 (Focus Categoria PR Lions)