“Bisogna uscire fuori dagli schemi, pensare fuori dalla scatola, perché non si sa mai che direzione può prendere il proprio cammino”. Questo è il messaggio di Claudia Palmira, nata a New York, ma adottata da Roma, designer, artista e imprenditrice. Fonda a New York il suo primo studio di design a soli diciannove anni e da lì inizia una luminosa carriera che mixa con passione arte, design e business, senza perdere mai la voglia di conoscere nuovi orizzonti e affrontare nuove sfide. Un’anima poetica che riesce ad abbracciare creatività e concretezza quasi in un matrimonio mistico tra apollineo e dionisiaco. Dunque grande cuore, ma con i piedi ben piantati per terra: Claudia Palmira si racconta per condividere l’esperienza illuminante di una professionista con lo sguardo sempre aperto e vivace sul mondo e sul futuro.
Artista, designer e imprenditrice, la sua identità professionale riflette un’esigenza espressiva multiforme e preponderante: qual è il suo approccio per trasformare ogni visione creativa in realtà?
Essere una designer per me significa riuscire a coniugare la dimensione creativa e la dimensione organizzativa. Il mio approccio al lavoro è strettamente legato all’ispirazione, ma è frutto di una combinazione dell’aspetto pratico e di quello creativo. Senza passione, d’altronde, qualsiasi visione sarebbe difficile da portare avanti. Io sono molto “visiva”, guardo il mondo in un certo modo, faccio foto, osservo, scrivo e infine ho un mio personale modo di rielaborare tutto quello che ho intorno. Un obiettivo soltanto materiale non è abbastanza significativo per sostenere in maniera adeguata una visione rispetto alle sfide o agli ostacoli da affrontare. Per coltivare e realizzare veramente un sogno, metto in atto un piano d’azione, una missione “nobile” fondata su basi concrete, che coinvolgono la pittura, il design digitale e la conoscenza imprenditoriale. In questa prospettiva, è fondamentale per me avere vicino un gruppo di persone fidate: mi danno il coraggio di procedere e mi offrono feedback imparziali. Alcune mie visioni artistiche possono essere realizzate liberamente senza vincoli, mentre i progetti creativi per il business richiedono più intenzione, ricerca e struttura.
Claudia Palmira, nata a New York, ma adottata da Roma, designer, artista e imprenditrice: il racconto di un’esperienza professionale e creativa che non esaurisce mai la sua spinta verso il nuovo
Come si è avvicinata all’universo del design e qual è la motivazione che l’ha portata a sviluppare il suo talento fino ad oggi?
Fin dall’infanzia l’arte, in ogni sua declinazione, è stata profondamente radicata nella mia vita, dalla musica all’arte visiva e al design. Sono cresciuta in una famiglia che ha fondato a New York una casa editrice, i miei genitori sono stati una grande ispirazione per me. Nei loro uffici, che erano come una seconda casa, ero circondata dalle ultime tecnologie e ho imparato a usarle per i miei progetti creativi. La mia motivazione nasce proprio dalla curiosità e dalla sperimentazione. Mi sono laureata in storia dell’arte e arti figurative: quando ero all’università, avvicinarsi all’ambito della grafica rappresentava quasi una novità e io sono stata una dei primi designer ad avere un proprio sito web, ho imparato il linguaggio html fin dagli inizi degli anni Novanta. Ho incontrato il mondo del design all’inizio della mia carriera, quando ho avuto la fortuna di lavorare per il proprietario di una biblioteca di “modernist design”. Lui mi ha dato libero accesso a tutta la sua collezione di libri, che ho studiato a fondo. Da quel momento, mi sono innamorata del Modernismo, che ha poi influenzato tutte le mie opere e i lavori per i clienti con cui ho collaborato nel mondo di design contemporaneo.
La curiosità e la voglia di sperimentare sembrano essere la bussola che ha guidato la sua formazione. È così?
Per quanto riguarda l’innovazione tecnologica, mi sono formata da autodidatta, studiavo da sola, con un certo appetito, ciò che non trovavo all’università. Anche oggi, devo continuare a stare sul pezzo, restare sempre curiosa e all’erta ed essere sempre aperta alle novità e disponibile a imparare nuove cose. Nel design e nell’arte tutto è in continua evoluzione. All’inizio della mia carriera non immaginavo ci fosse la possibilità di creare fondali di arte astratta in digitale per la televisione, eppure è successo. Il panorama è cambiato e cambierà ancora.
Da New York a Roma: quanto hanno influito su di lei queste due città e cosa riversa di ciascuna di esse nel suo lavoro odierno?
Nel passaggio da New York a Roma la mia vita è cambiata tanto. A New York ero piena di stimoli esterni, ma ciascuno di essi mi assorbiva completamente. Trasferirmi a Roma, poi, era per me un sogno fin da quando ero bambina, anche se non potevo immaginare come sarebbe stato in realtà, perché la mia esperienza era legata a New York. Avevo sempre visto Roma da turista, viverci da cittadina all’inizio è stato un po’ straniante, perché tutto sembrava funzionare al rallentatore. In seguito, però, proprio grazie a questa dilatazione dei tempi, ho capito che nel tempo libero potevo esprimermi con altre attività, come ad esempio l’arte. Dunque New York resta la mia casa ed è sempre nel mio cuore, ma Roma è la città che adoro fin da piccola. Vivere a New York significa avere a che fare con un continuo fluire di energie e competizione, lottando con un senso costante di perfezione da dover raggiungere. Ciò che mi colpisce di Roma è la sua splendente bellezza, le sue antiche tradizioni e il suo vivere rilassato. Conservo di New York l’intensa energia e la perpetua spinta verso l’eccellenza, mentre Roma ha influenzato decisamente il mio senso estetico e la mia capacità di godere delle piccole cose buone della vita e delle amicizie straordinarie che mi sono costruita.
Come nasce lo studio Roma Design Agency e che tipo di progetti porta avanti?
Quando sono venuta vivere a Roma nel 2006 ho trasferito qui il mio studio di design. Al mio arrivo in Italia mi sono dovuta reinventare, adattandomi allo scenario romano. Il tipo di lavoro che avevo a New York, ossia i siti web, i “collage” digitali per le società, il branding di prestigio, in quel momento a Roma non aveva ancora preso piede. Ho tenuto qualche cliente disponibile a lavorare online, anche se a quel tempo si trattava di un concetto all’avanguardia. La cultura italiana, specialmente a Roma, è tradizionalmente basata sull’incontro personale, ma piano piano ci si sta adattando a nuove forme di collaborazione mediate dalla tecnologia: i miei clienti sono aperti allo smart working e all’innovazione, soprattutto ora, in tempo di Covid. L’agenzia poi si è evoluta partendo dal mio desiderio di mettere insieme le persone di talento che ho incontrato a Roma, nel copywriting, nella fotografia e nel digital marketing, combinando le nostre competenze per fornire ai clienti un prodotto completo. Lavoriamo principalmente su branding totale, web design e presentazioni. La nostra forza è il rapporto tra arte, design originale e strategia intuitiva per le società.
Nel suo ventaglio di esperienze, dopo il trasferimento a Roma, rientrano progetti come il rilancio della rivista Italian Journal, il Rome Photography Workshop e il ritiro di auto-sviluppo “Restart-Retreats”: cosa rappresentano e come si articolano questo tipo di esperienze?
Tramite Italian Journal, che va di pari passo con l’associazione della mia famiglia, la Italian Academy Foundation, io ho potuto incontrare persone e fare esperienze uniche nella Capitale, scoprendo i segreti della città e portandoli all’audience americana. Si è trattato di un progetto fatto con amore. Rome Photography Workshop è stato il primo progetto nel suo genere, ho proseguito poi con Restart Retreats e ora con Open City Experiences. Questi progetti sono nati sempre dalla volontà di coniugare le necessità della creatività e dell’arte con quelle del mercato, osservando i cosiddetti “buchi” presenti tra domanda e offerta. A proposito del RPW, mio marito è un appassionato di fotografia e io ho pensato perciò di creare un laboratorio per connettere il mondo internazionale della fotografia con Roma. Per una designer che realizza siti web, creare un nuovo brand come quello è stata una soddisfazione enorme, che poi ha aperto una strada a tante altre realtà che ci hanno seguito, perché è aumentata anche la richiesta sul mercato.
Il suo lavoro professionale di arti grafiche e design si unisce sempre ad una sorta di vocazione di comprensione e supporto verso gli altri: come coniuga queste due dimensioni?
Ogni cliente ha la sua storia unica e ogni società ha la sua audience. Se ascolto e capisco veramente lo scopo di un progetto, allora il design giusto può essere realizzato in modo autentico. Il design non è semplice decorazione o abbellimento, ma deve essere funzionale a uno scopo. Inoltre il business è personale e creare un brand è un modo di esporsi al pubblico completamente. Insomma, si tratta spesso di un processo intenso e, da parte mia, richiede sensibilità e consapevolezza durante la collaborazione, partendo dal concetto fino al lancio al pubblico. Il mio lavoro è essere un ibrido tra arte e design, mantenendo sempre viva l’empatia.
Il matrimonio tra tecnologia e design può effettivamente portare alla nascita di nuovi orizzonti di bellezza?
La maggior parte del mio lavoro artistico e professionale è inscindibilmente collegata alla tecnologia. Nei primi anni di esistenza del web, ho fatto da apripista nella sperimentazione di questo nuovo media digitale, spingendo in avanti i limiti di ciò che è l’esperienza artistica. Finché gli artisti sono interessati alla novità, giocano con i nuovi materiali, ci saranno sempre nuove forme di bellezza da creare e godere. Nella mia serie artistica “Iconics/Poetics”, utilizzo una combinazione di arte fisica ed elementi digitali, per creare immagini che sono poi realizzate di nuovo fisicamente. Ogni mese, inoltre, mando una nuova opera alle persone che sono iscritte alla mia mailing list.
Qual è il suo rapporto con i social media e in che modo li utilizza per esprimere la sua ispirazione e veicolare le sue idee?
I social media combinano la dimensione personale e quella professionale. Sono divertenti e molto accessibili. Su Instagram soprattutto, ma anche su Facebook Business e TikTok, condivido vita, stile e lavoro, sempre con un’idea chiara della mia audience. Il centro di qualsiasi brand, comunque, deve essere il proprio sito web. Il consiglio che do sempre ai clienti a cui faccio consulenza di branding diffuso è che i social media non vanno ignorati, ma che la priorità è sempre portare l’audience al sito web per fare crescere la mailing list. Adoro in ogni caso la leggerezza e l’umorismo dei social e ne approfitto per essere in contatto costante con la mia audience, che può anche espandersi grazie a strumenti quali hashtag e pubblicità a pagamento.
La pandemia di COVID-19 ha scompaginato tutte le regole e le abitudini: come è possibile creare e raccontare il bello in questa fase così difficile e quali saranno gli scenari possibili in futuro?
Sono ottimista nonostante i cambiamenti causati dalla pandemia. Mentre c’è ancora tanto da capire, quello che ho notato è che c’è un ritorno ai valori e tanta voglia di creatività. Nei tempi bui, la creatività e l’espressione personale ci salvano. Ci vuole coraggio. La novità si sviluppa dalla necessità e la creatività è fondamentale in questo senso. Vedo un mondo molto più aperto grazie all’interfaccia digitale, con valori meno materialistici. Vedo un mondo – spero – che apprezza l’arte e gli artisti e l’importanza della creatività e dell’innovazione.
Quali sono le tre case history più significative che sceglierebbe per illustrare il senso e il valore della sua attività?
Platinum Eye è una serie televisiva che uscirà in anteprima il 29 novembre 2020 in Usa. Al centro della storia c’è il mondo del lusso, visto attraverso gli occhi di una fashion editor. Lavorare su questo progetto completamente nuovo mi ha permesso di dare forma al total look: dalla creazione del logo e dello stile del marchio, alla grafica di presentazione, fino al sito web e al design del feed di Instagram. Il marchio si sta evolvendo mentre espande la sua portata in nuovi flussi di contenuti e io continuerò a definire lo stile per farlo.
Un altro progetto realizzato è la rivista Italian Journal, originalmente una pubblicazione accademica composta da lunghi articoli e senza fotografie. La rivista, che ho rivisitato sia come redattrice che come direttrice artistica, storicamente aveva una distintiva copertina blu. La prima cosa che ho fatto è stata aggiornare la copertina, mantenendo l’iconico blu, ma aggiungendo una “finestra” contenente un’opera d’arte. Oltre al prodotto cartaceo, la rivista è stata tradotta anche in un’esperienza online interattiva, comprendente un blog culturale associato al suo sponsor, Italian Academy Foundation, Inc., di cui ho anche disegnato il marchio.
Ho avuto infine la fortuna di lavorare per diversi anni con Bulgari Hotels, un vero gioiello di un marchio iconico. Essere madrelingua inglese è stato fondamentale per questo lavoro, poiché la collaborazione ha coinvolto team e agenzie in cinque paesi diversi. La componente chiave fatta dalla mia agenzia è stata la definizione di una strategia unificata a livello globale per la presenza online di questo brand notevole. Il sito web richiedeva una rivitalizzazione in quel momento: lavorando con il loro straordinario team, ho identificato un’area del loro sito che potesse essere trasformata in un flusso di contenuti non-statico e allegro: una sorta di “blog” sulla scena culturale locale dell’hotel. Ovviamente, ho anche lavorato armonicamente sulla loro presenza sui social media.
Foto copertina: Mauro Benedetti.
Elisabetta Pasca