La guerra d’aggressione in Ucraina interroga ciascuno di noi. Non solo perché non ci fa dormire, perché ci ha ripiombato nell’ansia che pensavamo di aver lasciato da poco alle spalle, ma anche perché ciascuno di noi si pone la storica domanda “Che fare?”. Al di là delle scelte individuali, di cui ciascuno è responsabile, nella mia posizione mi interrogo anche su cosa possa fare FPA, la società che presiedo, e quindi, strettamente legata a questa domanda, cosa possano fare, più di quello che già fanno, le amministrazioni pubbliche. Non solo le nostre forze di Difesa, ma proprio ogni Ministero, ogni Regione, ogni Comune, ogni ente pubblico. Provo a rispondere a questa seconda domanda per arrivare poi al nostro ruolo e al nostro impegno.
Io credo che, pur nella giungla mediatica in cui siamo immersi, qualcosa emerga chiaramente. Per raccontare quel che voglio dire, prendo in prestito le parole dell’amica Linda Laura Sabbadini ieri su “La Repubblica”. Linda Laura dice che “Il popolo ucraino con la sua resistenza coraggiosa al soverchiante esercito invasore ha risvegliato il mondo sonnecchiante che aveva perso l’emozione per la libertà e la democrazia”. Condivido in pieno. Ma le amministrazioni pubbliche che c’entrano? C’entrano molto perché la democrazia non è né una parola astratta, né una conquista fatta una volta per tutte: è piuttosto una pianta che va coltivata e le nostre amministrazioni ne sono i “giardinieri”, perché sono le porte d’ingresso nella nostra casa repubblicana. Essere accolti da queste come azionisti o essere maltrattati come clienti trascurati non è un accessorio, ma distingue una società sana e rispettosa dei diritti da una società autoritaria in cui ciascuno, in fondo, è suddito.
Carlo Mochi Sismondi, Presidente di FPA, sulla crisi in Ucraina: “questa guerra interroga ciascuno di noi”
Questa posizione di responsabilità implica due aspetti correlati, ma distinti. Il primo riguarda la trasparenza, intesa come abitudine a superare l’asimmetria informativa che troppo spesso divide i decisori da chi è oggetto di queste decisioni. L’esempio più importante, ma non certo unico, di questo impegno è il cosiddetto “dibattito pubblico”, ossia la condivisione con le popolazioni delle scelte infrastrutturali che le riguardano. Do atto al Ministro Enrico Giovannini di aver ripreso con grande energia e sensibilità questo tema, troppo spesso trascurato per una malintesa fretta, che implica poi però cantieri bloccati, perché le persone che non sono coinvolte difficilmente, e per fortuna, approvano in silenzio quello che viene fatto nel loro cortile. C’è però molto ancora da fare. Non c’è democrazia senza un’informazione completa, libera e corretta. In questi giorni si parla tanto della nostra dipendenza energetica dalla Russia e della necessità di diversificare: mi permetto di ricordare che un’informazione tardiva e non esauriente, un mancato dibattito pubblico, assieme all’interesse di bottega di qualche politico locale, ci ha impedito non discussi e discutibili interventi di trivellazione, ma anche innocui ed ecocompatibili degassificatori. Ora ci sarebbero stati molto utili.
Il dibattito pubblico diviene anche una palestra di partecipazione e di mediazione tra interessi diversi, a volte contrapposti, che devono trovare una composizione nell’interesse generale. È proprio l’antidoto che serve contro il veleno della guerra. Non c’è bisogno di sottolineare, infatti, perché è sotto gli occhi di tutti, che le guerre impongono sempre l’asimmetria informativa e una comunicazione scorretta. In questo momento, almeno dove e quando possiamo, diveniamo apostoli di verità. Questo impegno non fermerà ora i tank, ma terrà lontana la nostra società da avventure da cui nessuno, ma proprio nessuno, può sentirsi vaccinato per sempre.
La seconda e altrettanto importante responsabilità riguarda il tema della collaborazione e della partecipazione, che sono le caratteristiche che rendono viva una democrazia. In questo momento siamo alle prese con una ripresa che sta decollando, e che questa guerra rischia di impallinare nel take-off, ma è una ripresa nata intorno ad un Piano, come il PNRR, che se ha visto una scarsissima partecipazione nella sua progettazione, non si realizzerà mai se non diventa azione collettiva. Tante volte abbiamo scritto che le amministrazioni devono essere aperte e porose, che devono vedere il confronto con tutte le componenti di una società complessa e multiforme non come un pericolo, ma come una risorsa. Vedere con angoscia cosa succede quando la partecipazione è assente e vige la costrizione non può che essere uno stimolo forte all’apertura. Serve quindi una PA capace di collaborare con il Terzo Settore e le organizzazioni di cittadinanza attiva, imparando a confrontarsi con i destinatari degli interventi, per acquisirne conoscenze e preferenze, dando loro l’effettivo potere di orientare le scelte, tutte le scelte, ed essere parte della loro realizzazione.
Quando vediamo bimbi nel buio, corpi squarciati, edifici in fiamme l’incitamento ad una PA aperta e democratica sembra un pannicello caldo, ma non è così.
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di Carlo Mochi Sismondi, Presidente FPA