Il paradosso della comunicazione ai tempi del Coronavirus: la comunicazione necessaria non può avvenire, ricordiamocelo
Consapevolmente connessi in questi giorni significa puntare sul senso civico, sul fare comunità #distantimauniti sul #celafaremo, ma soprattutto su un comunichiamo in modo consapevole e ricordiamoci di fare il nostro meglio per non creare brusio e laddove possiamo per eliminarlo
Cari comunicatori,
mi rivolgo a voi perché mai come in questo momento la comunicazione ci chiama ad una presa di coscienza sul fare non solo bene, ma meglio!
Mai come in questi giorni ci siamo resi conto di quanto le connessioni oggi ci permettano di non sentirci isolati, quelle stesse connessioni che fino a qualche mese erano tacciate di alienare e sostituirsi ai sani incontri in presenza. Per chi come me ha molte persone care sparse nel mondo la connessione è sempre stata una grande risorsa, utilizzata consapevolmente nei tempi e nelle modalità. Il problema non è lo strumento, ma come lo si utilizza.
Una frase che continuo a ripetere ormai da venti anni, è non sono gli strumenti, ma le persone il problema di un utilizzo inconsapevole e errato.
Non sono i giovani e i giovanissimi a sbagliare, ma chi non gli ha fornito le linee guida per poter essere consapevoli di ciò che stanno facendo, che non è mai abbastanza.
Il web è tutto e il contrario di tutto, è una finestra sul mondo, è una rete di connessioni virtuose, è opportunità di crescita, di visibilità, di internazionalizzazione, e allo stesso tempo, è esattamente l’opposto. E’ una finestra che ci pone davanti a rischi di cattiva comunicazione nei confronti di altri Paesi, è una rete di connessioni di pedo-pornografia, di ricatti, è una percentuale di rischio di errore del 50% (almeno), è la perdita di un buisiness all’estero se la campagna non è studiata con esperti; è quella straordinaria democrazia dell’informazione, disintermediata dove il pensiero critico di ciascuno può approfondire le proprie idee, in grado di trasformarsi in limitazione della libertà di espressione: in altre parole tutto e il suo contrario.
Ed ecco che in questi mesi di emergenza sanitaria, dichiarata poi pandemia, questa inconsapevolezza diventa un problema di disinformazione.
L’importante è non farsi cogliere impreparati, sottolineavo durante la formazione sulla comunicazione di emergenza e di crisi; reagire con tempestività, generare fiducia, essere un punto di riferimento chiaro, e distribuire le informazioni necessarie. Mantenere la calma, essere oggettivi, eliminare descrizioni e perifrasi, ma andare “dritto al sodo” ovvero al dato, alla procedura, all’indicazione precisa, e così proseguiva la preparazione di chi, nella comunicazione, soprattutto digitale voleva essere “consapevolmente connesso”.
Qualche mese fa con Emergenza24 facevamo il punto sui numeri e sui fatti, la più grande Community internazionale dedicata alla comunicazione in emergenza dal 2012, che si contraddistingue proprio per il protocollo robusto nella costruzione dell’informazione via Twitter: pochi caratteri ma ciascuno indispensabile, oltre che per la tempestività nella condivisione dopo un attento fact checking. Il comportamento sempre lo stesso: arriva la notizia, iniziano i commenti, si “sporca” l’hashtag con contenuti impropri, l’informazione principale, necessaria deve essere presidiata, generando un sovraccarico lavorativo sul mantenere corretta l’informazione. E quell’archivio di miliardi di comportamenti che ci portava a tracciare sempre le stesse dinamiche in tanti contesti e a invitare a non “sporcare” le conversazioni utili ai cittadini, necessarie per chi è all’interno dell’emergenza e deve ricevere le informazioni, così come chi è all’esterno e ha connessioni più o meno strette oggi è diventata una conversazione globale, ma disintermediata, una infodemia, che si sovrappone alla pandemia. Oggi tutto questo non è spettacolarizzazione, non è “sentiment”, ma informazione diretta tra fonti autorevoli a cui dobbiamo lasciare il canale preferenziale senza rumore attorno.
E in questo grande profluvio di informazioni, l’ennesimo drammatico paradosso di questa comunicazione globale, ricordiamocelo è che l’informazione necessaria, quella all’interno delle terapie intensive (dove si entra soli), la comunicazione che si vorrebbe non si interrompesse mai tra le persone e i loro cari, quella comunicazione che rassicura, che tiene viva la speranza, che anima i legami, non può avvenire ma non per mancanza di volontà, ma di tempo e spesso di strumenti.
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